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Progetto X1

di Salvatore Di Sante

Jones era turbato dall'insolita convocazione. Trovò il generale Righetti che lo attendeva assieme a Biondi. Nella stanza c'erano un tavolino e delle sedie ma i due stavano in piedi. Avevano un'aria tesa. Che c'entrava Biondi, il direttore dell'amministrazione?

- Iniziamo subito, dottore - annunciò Righetti. Azionò un interruttore sulla parete e la stanza attigua apparve al di là dello specchio, illuminata a giorno.

A quel punto Jones ritenne superflua ogni domanda e si limitò a osservare lo spettacolo che gli avevano preparato. La stanza era identica a quella in cui erano, ma completamente vuota.

Da una parte c'era il soggetto che gli avevano chiesto di prelevare, nella consueta tuta elasticizzata bianca e nera con lo stemma dell'Organizzazione sul petto. Si guardava intorno in attesa, studiando il robot di fronte a lui. L'automa aveva per piedi dei piccoli trapezi cingolati; poggiavano su un blocco rettangolare che faceva da busto. Altri due parallelepipedi fungevano da braccia. Non aveva nulla che richiamasse antropomorficamente una testa. Evidentemente le videocamere e i sensori di movimento erano incorporati nel busto.

- Il soggetto è classificato ad alto potenziale offensivo, vero dottore? - chiese il generale.

Jones annuì. Biondi rigirava fra le mani una cartellina gialla con fare annoiato.

- Bene, - Righetti parlò a una trasmittente che diffondeva nell'altra stanza - iniziate a combattere.

Il robot stese il braccio e all'estremità spuntò un cilindretto forato. Il giovane scartò di lato, evitando le raffiche che a ondate investivano il muro e sprizzavano coriandoli d'intonaco; poi si tuffò a terra scivolando sotto la visuale della parete a specchio. Il robot ne seguiva la traiettoria vomitando centinaia di proiettili e di bossoli. Il vetro sfrigolò di scintille, Jones e Biondi si ripararono istintivamente mentre Righetti, avvezzo a quel genere di cose, osservava imperturbabile con le mani giunte dietro la schiena. Il ragazzo, con velocità sovrumana, riuscì a portarsi alle spalle del robot e gli assestò un pugno al busto. La lamiera si accartocciò vistosamente ma il sistema giroscopico permise alla macchina di rimanere in equilibrio, nonostante il colpo avesse spostato di ben tre metri i suoi 700 Kg. Il blocco del tronco ruotò su se stesso, una lama saettò da una fessura e squarciò fulminea il petto del giovane che urlando saltò via. I tre dietro il vetro videro la profonda ferita richiudersi velocemente e la pelle riacquistare il suo aspetto sano. Il robot puntò di nuovo il braccio. La canna della mitragliatrice rientrò. All'improvviso, con un leggero sbuffo, una ragnatela metallica puntellata di zavorre si chiuse a pugno sullo sfidante, costringendolo al suolo. L'automa si avvicinò lentamente a quell'involto palpitante e impotente. La CPU selezionò ancora la mitragliatrice. Lo massacrò crivellandolo di colpi, infierendo abbondantemente sul corpo inerme.

- E questo cosa dovrebbe dimostrare?! - chiese Jones seccato.

- Signor Biondi, - fece Righetti senza voltarsi - quanto è costato finora il progetto X1?

Il burocrate si aggiustò gli occhialetti e consultò i documenti nella cartellina gialla. - 300 milioni in 13 anni finora...

- E quanto costa invece produrre una unità K1 come quella? - domandò di nuovo il generale indicando il robot immobile nell'altra stanza, col braccio fumante, accanto ai resti martoriati del perdente.

- Mezzo milione per ogni unità K1. Zero manutenzione, durata media 50 anni. Abbiamo già 100 ordini a un milione e mezzo ciascuna, - rispose Biondi.

- I robot sono i soldati del futuro. Ed è questo il motivo - Righetti si era voltato e guardava fisso il dottor Jones - per cui il progetto X1 è da considerarsi chiuso, - esclamò in tono perentorio. - Con decorrenza immediata!

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L'istituto

di Salvatore Di Sante

Il frastuono delle sirene bloccò immediatamente tutte le attività.

- Incidente nello scenario «Giungla». Inviare uomini armati - gracchiò l'interfono.

L'attempato generale scattò dalla sedia e scese con l'ascensore al piano degli equipaggiamenti.

La jeep arrivò di gran carriera sgasando e sobbalzando. Uno dei soldati si alzò in piedi e sparò una raffica in aria reggendosi al montante. Le iene si dispersero immediatamente.

Il dottor Jones attendeva accanto ai cadaveri straziati.

- Cristo! Com'è successo? - sbraitò il generale valutando mentalmente l'ingente perdita economica.

- Forse... è solo una supposizione, a questo punto... forse il potere di 33 si attiva con la paura, - spiegò lo scienziato stropicciandosi il camice. - E' stato attaccato e in preda al panico, non volendo, ha paralizzato 28 e 29... Almeno a giudicare dalle registrazioni delle telecamere... - continuò tamponandosi la fronte con un fazzoletto.

- ... Supponete?! Non conoscete il potere di 33?!

- Era la prima volta, signore... 33 era un veggente, non aveva mai mostrato capacità di condizionamento prima d'ora.

- Cristo! - sbottò di nuovo il generale guardando i corpi. - Se lo sanno gli investitori qui chiudiamo baracca. - Be', le tute almeno hanno resistito, li hanno presi alla gola... - mormorò un poco sollevato. Gli altri due che poteri avevano?

- Erano quelli che definiamo «super-sensoriali», signore. 28 captava ultrasuoni ed infrasuoni, mentre 29 era in grado di vedere nell'ultravioletto.

- Bah, poca roba..., - sbuffò il generale. Poi, rivolto al dottor Jones ordinò:- Accorpate 30, 31 e 32 e riprendete le esercitazioni. Forza!!!

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32

di Salvatore Di Sante

Frugo in tasca, apro il pugno. Non mi ci vuole molto a contare gli spicci. L'elemosina è stata magra. Ci scappa giusto un caffè. Ma che me ne faccio? Arrivassi almeno a un euro e mezzo potrei prendere uno di quei tramezzini di plastica. E' quasi l'una. Mi trascino sui ciottoli col sole che mi cuoce. La polvere e la sporcizia pesano come una coperta lurida. Quando ci si arrangia per strada non si può fare sempre una doccia al giorno. Una bella doccia! Ecco una cosa che mi manca, dell'Istituto. Sarà sopravvissuto qualcun altro? Di sicuro mi cercano. Tenere un profilo basso: più basso del mendicante... dovrei essere sulla strada giusta. Sorrido e le labbra screpolate mi fanno male. La strada giusta... riesco anche a fare battute.

Lo stomaco brontola. Per fortuna per l'acqua ci sono le fontanelle. Alzo gli occhi al cielo terso e neanche lui ha le risposte che cerco. Un panino, ecco cosa mi serve assolutamente. Un panino, come minimo. I poteri esigono un metabolismo indiavolato. Derubare un altro barbone? Non vorrei proprio ma se continua così... Poi però devo cambiare zona. Oppure...

Da un parcheggio coperto arrivano delle grida. Oppure...

Gridano incitamenti. Esclamazioni sguaiate. Ho capito di che si tratta. Neanche questo mi piace troppo ma tra un po' svengo per la fame e con la pancia vuota gli ideali pesano meno. Ma la polizia lo sa e fa finta di non sapere? Comunque, vado.

- Duecento euro a chi stende Brutus! - urla un piccoletto calvo e congestionato. Hanno sempre nomi pittoreschi, questi ceffi qui. - Chi vuole provare? Duecento euro sul piatto signori!

Brutus è un ciccione di due metri con più peli che muscoli. Grugnisce sforzandosi di esibire bicipiti inesistenti. Qualcuno trascina più in là lo sfidante precedente: il viso è una maschera di sangue che gli cola copioso sul petto nudo.

- Ci provo io. - Il piccoletto mi studia pazientemente, con sguardo schifato. Dalla testa rasata alle Nike stracciate e ritorno, biascicando una gomma come un lama. Sono robusto ma un ragazzino conciato come un pezzente non dovrebbe rappresentare una minaccia ai suoi guadagni. Brutus mi osserva e sogghigna scostandosi la zazzera impiastricciata. Sì sì ridi scimmione. Un po' mi fa pena.

- Li hai duecento euro? - Il nanetto ha colto nel segno. L'unica falla nel mio piano per il pranzo. Incrocio mentalmente le dita e gioco la mia carta col primo che mi capita a tiro, fra il capannello di spettatori.

- Me li presti? Se vinco facciamo a metà. - Il bifolco mi guarda come fossi un marziano. Ha le guance rubizze e gli occhi a fessura. Sarà che quest'avvinazzato ha duecento euro... Magari è messo peggio di me. Invece si accende all'improvviso e scatta come un pupazzo a molla. Imbratta la canotta passandoci la mano sporca di grasso e stringe la mia tutto esaltato. - Ok, affare fatto! Questa la voglio vedere. - Estrae dalle tasche una mazzetta e la lancia al nano che la artiglia al volo.

- Ooook!- esclama lesto lo gnomo che conduce le danze. Ha contato i soldi e messo in bocca un sigaro. Già pregusta la vincita. Freme per vedermi al tappeto.

- Il ragazzino contro Brutus! Vediamo cosa sai fare, ragazzino. Sei pronto?!

Tengo la maglietta, non vale la pena spogliarsi. Intorno il pubblico si scalda. Si allargano per fare spazio e comincia il baccano.

Il tizio che mi ha prestato i soldi mi osserva tra l'incredulo e lo speranzoso.

Un urlo più forte degli altri mi distrae. Con la coda dell'occhio vedo Brutus che mi si scaglia contro. Inutile. La mole non gli consente di essere veloce. Allarga il braccio per preparare un gancio destro, lo vedo come a rallentatore. Fili di saliva ondeggiano nella bocca spalancata per la furia. Scatto in avanti per intercettare l'attacco e faccio sibilare un diretto. Una saetta. Chirurgico, alla base del naso. Probabilmente nessuno ha fatto in tempo a vederlo. Nemmeno il povero Brutus. La folla si ammutolisce. Il nanetto non si capacita del suo pupillo: svenuto, in posa come un angelo della neve sull'asfalto. Cento euro. Per un po' sono a posto. Il mio finanziatore è rimasto impalato con un' espressione stranita, felice di aver preservato i connotati e intascato cento euro facili facili.

 

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31

di Salvatore Di Sante

Parma, 2012

I cadaveri erano stati coperti e la zona transennata di nastro giallo. La folla di perditempo aumentava di minuto in minuto.

Gli agenti del RIS, allertati vista la «bizzarria» del caso, repertavano la scena prelevando le tracce ematiche e accertando la temperatura del fegato per risalire all'ora della morte.

Il commissario Bianchini camminava nervosamente avanti e indietro fumando una sigaretta dietro l'altra, come se affrettare un cancro ai polmoni servisse a convincerlo di quello che aveva appena visto.

Cinque gemelli. Possibile? Forse ma molto improbabile. Uccisi e ammucchiati tutti insieme? Troppo strano. Un serial killer specializzato. Ma i vestiti? Quello no, quello era incredibile. Vestiti tutti uguali: e fin qui...

Finché non aveva osservato più attentamente. Gli strappi e le macchie sui jeans; e quella chiazza sul colletto della camicia: identici. Tutti negli stessi punti, in tutti e cinque i corpi! Ai confini della realtà. Colpiti al petto o alla testa, un colpo per uno. Niente bossoli, quindi o l'assassino li aveva raccolti o aveva un revolver.

Niente documenti. Ai polsi il segno dell'orologio: una rapina finita male?

 

Intanto fra la miriade di cellulari che scattavano foto, scrivevano sui social e lanciavano nell'etere chiamate o sms, uno smartphone di ultima generazione all'orecchio di un signore distinto avrebbe meritato una provvidenziale intercettazione ambientale: - Sono Jones. Ho trovato uno dei ragazzi. E' qui a Parma.

 

Una settimana dopo...

 

- Commissario, sono arrivati i risultati della Scientifica, - tagliò corto l'agente inforcando subito l'uscita.

Bianchini consultava il dossier ricostruendo mentalmente la dinamica dell'accaduto.

Due tipi di sangue: uno appartiene a Franco Forti, ventotto anni, piccolo spacciatore; già in carcere per rapina e aggressione. Rapina allora, come pensavo. E' rimasto ferito. Ma da chi? Le cartucce estratte dalle vittime sono per un revolver 38 special. Come quello usato da Forti nel furto alla farmacia di due anni fa; alla conta manca un proiettile. Vediamo adesso le vittime: DNA uguale, gemelli quindi. Non schedati, mannaggia... uhm... e questo che vuol dire?

- Gelsomini! - tuonò dalla scrivania. La recluta entrò di filata, solerte e un po' impacciato come al solito. In più di un'occasione si era rivelato prezioso per le sue lauree in chimica e biologia e questo gli aveva fatto conquistare la stima e la fiducia dei superiori. Il commissario gli porse il fax, lui si aggiustò gli occhiali e prese a scrutarlo.

- Le ultime due righe, - lo indirizzò Bianchini.

Gelsomini contrasse leggermente le labbra, rimanendo assorto nella lettura. Alla fine sentenziò:

- I cinque campioni di DNA delle vittime, tutti identici, presentano... delle sequenze anomale.

- Quindi? Che significa?

Gelsomini tentennava. Il commissario lo fissava perplesso.

- In pratica signore... non saprei come... magari hanno sbagliato...

- Cosa?

- Quelle sequenze. Dalle analisi risultano «non umane».

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30

di Salvatore Di Sante

È il momento. In casa ci sono solo la baby-sitter e il piccolo. Incursione lampo al frigo. Sono le 4 del pomeriggio e ho una certa fame. Mi affaccio al corrimano e sbircio al piano di sotto. Marco sta dormicchiando sul divano. Vicino a lui Monica e le sue mèches viola sono imbambolate davanti alla TV col volume al minimo. La scocciatura col mio potere è che devo sempre stare nuda. A passi felpatissimi lungo le scale... Prima rampa andata. Marco è accoccolato su un fianco con le braccia a mo' di cuscino; Monica sempre impalata, unico segno di vita lo sciacquettio della cingomma. Un'altra manciata di gradini, curva ad angolo retto, breve corridoio e riesco a sgattaiolare in cucina. Ricontrollo sporgendomi dalla porta socchiusa. Tutto ok, sono sempre lì. Finalmente. Il frigo! Dunque vediamo: prendo uno yogurt al lampone, una fettallatte, un pacco di cracker e... Cazzo! Ops, mi è sfuggito, l'ho sussurrato. Marco è in piedi nel vano della porta con gli occhi e la bocca spalancati. E ti credo: vedere il frigo aperto con la roba che fluttua per aria... Rimetto tutto dentro, adagio, ma ormai è tardi, ha visto. Si avvicina. Alla sua età la curiosità vince su tutto. Arretro lentamente. Ogni passo sulle piastrelle è una coltellata ghiacciata. E' arrivato al frigo e guarda dentro. Sono in un vicolo cieco, chiusa tra il piano cucina e il tavolo. Se per caso decide di venire qui sono fregata. Tutta presa a studiare Marco non mi accorgo di un bicchiere in bilico sul lavello. All'istante il monello pianta i suoi fari azzurri nella mia direzione. Trattengo il fiato sforzandomi di rimanere immobile. È sempre più vicino. Allunga una mano. La ritrae saltando indietro. A tutti e due scappa un gemito. - Budino... - esclama osservandosi la mano.

Mi accovaccio, gattono di filato sotto il tavolo e volo su per le scale senza voltarmi indietro.

Mi rintano nella camera da letto dei genitori, dov'ero prima. E adesso? Lo dirà alla baby-sitter. Ho fatto rumore, la guiderà quassù. Ok, niente panico. Lo zaino coi vestiti, per le emergenze, è sempre pronto. Lassù nel mobile in alto. Li sento parlottare, stanno salendo. Eccoli. Appoggio lo zaino per terra. Marco entra per primo, a passo spedito, e si ferma vicino al lettone. Sono proprio di fronte a lui, dall'altra parte, in piedi davanti allo specchio (muto) dell'armadio. Monica blocca la porta. E muoviti dai! Spostati. Il bimbo è salito sul letto e procede a carponi, tastando tutto intorno. Ci risiamo, mi punta un'altra volta. Eddai Monica, solo qualche passo. Oh! Sembra mi abbia sentito. Osserva Marco e si guarda in giro. Ora o mai più! O la va o la spacca! Afferro lo zaino e mi precipito fuori. Con la coda dell'occhio li vedo voltarsi verso di me. Ce la faccio, ancora non si sono mossi. Continuo a correre. Scale. Pianerottolo. Faccio i gradini con un salto e mi fiondo all'ingresso. Mi aggrappo alla maniglia d'ottone e spalanco il portone con una spallata. Sotto i piedi l'erba soffice e bagnata. Cancelletto del giardino e via in strada!

Adesso devo trovare subito un vicolo dove rivestirmi. Le gambe mi formicolano, l'effetto sta svanendo. Mi sfioro il seno dove mi ha toccato il piccolo e mi scappa da ridere.

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