Gli Uomini d'Oro
La gloria degli Ascarot
di Luca Mencarelli
Perché si trovava lì? Per la gloria? Per il denaro? Per l’abbraccio voluttuoso delle ragazze che lo attendevano in città, se fosse riuscito a tornare? Abenor deglutì, sforzandosi di pensare ai loro corpi sinuosi che lo accendevano di desiderio e alle monete tintinnanti che cadevano nella sua mano. Poi serrò il pugno sull’elsa della spada, e la sensazione del ferro amico riuscì ad infondergli un po’ di coraggio, ricordandogli perché si trovava lì.
La marcia era stata lunga e faticosa, e la pesante armatura ribolliva sotto il sole cocente. Ma finalmente erano giunti a destinazione. Una poderosa armata di uomini valorosi e forti era pronta a scendere in battaglia nella vallata. Di fronte a loro stava la porta, possente ed arcana, a protezione del varco tra le montagne di Godard, e al di là di essa la misteriosa terra degli Eolin, strabordante di ricchezze e meraviglie. Se non fosse stato per quella dannata porta…
Abenor alzò gli occhi verso l’enorme pietra di ametista. Su di essa erano scolpite parole fumose, un invito e un monito per tutti i temerari che avessero osato tentare di superarla.
Non c’è nulla al di là di questa porta
Solo chi muore può entrare a patto che continui a respirare
Cosa significava? Come si può morire continuando a respirare? Abenor non lo sapeva, e tutto sommato non gliene importava poi molto. Quando avessero distrutto l’entrata e fossero penetrati nei territori degli Eolin lo avrebbero chiesto direttamente a loro. A patto che ne rimanesse qualcuno da interrogare dopo il massacro…
Il suono roboante e crescente di un corno accarezzò i morbidi declivi erbosi che circondavano la valle. Era il segnale dell’attacco. Abenor si calò la visiera dell’elmo sul viso e inspirò profondamente. Prima di lanciarsi contro il nemico infilò la mano tra la corazza e la cotta di maglia, estraendo un ciondolo che teneva appeso al collo.
-Questo amuleto apparteneva a mio padre, e a suo padre prima di lui. Si tramanda da generazioni nella nostra famiglia e adesso voglio che sia tuo. Al suo interno è racchiusa una magia molto antica e potente, che ti proteggerà da qualsiasi male.- Erano state le parole di suo padre quando glielo aveva donato, prima di partire anch’egli, molti anni prima sotto il regno di re Hhasi I, verso quello stesso campo di battaglia, doveva aveva trovato la morte. Da allora aveva giurato che lo avrebbe vendicato, per l’onore della nobile famiglia Ascarot. Dopo la scomparsa del genitore l’intero casato era caduto in rovina, e lo splendore passato si rispecchiava ormai solo sui lineamenti fieri del suo volto, sulla sua chioma dorata e sul suo corpo scolpito. Sua madre e le sue sorelle conducevano una vita misera, costrette a lavori ignobili per pochi soldi e a mendicare un tozzo di pane. Che destino insopportabile per chi una volta si era trovato ai vertici della nobiltà!
Ma lui avrebbe sconfitto gli Eloin, conquistato le loro terre e riportato gli Ascarot ai fasti di un tempo. Chissà, magari avrebbe potuto puntare anche più in alto, al trono stesso… Tutti sapevano che re Amdir II era un folle incapace, e forse il regno avrebbe beneficiato di un nuovo sovrano…
Ora però non c’era tempo per perdersi in simile fantasie, la battaglia era iniziata, e già lo stridio delle spade che cozzavano tra loro si levava tra le grida dei soldati. Abelor lanciò un urlo di guerra e si gettò nella mischia.
Ma l’impeto si arrestò quando vide apparire di fronte a sé la sagoma torreggiante di uno dei quattro guardiani. I suoi compagni, più avanti, cadevano come fuscelli spazzati dalla tempesta sotto i movimenti rapidi e letali della creatura, mentre una pioggia di sangue mulinava tutt’intorno. D’un tratto la paura tornò a bussare alle porte del suo animo, sciogliendo in un istante i suoi sogni di fama e ricchezza.
Mentre sentiva il suo cuore schizzare via dal petto Abenor si chiese con l’ultimo barlume di coscienza perché l’amuleto non lo avesse protetto. Non poteva sapere che nessuna magia poteva salvarlo dal male che albergava in lui stesso.
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Il Rituale
di Spartaco Mencaroni
Delle molte cose che Dana aveva dovuto affrontare, nella nuova vita che si era scelta, il Rituale della Coscienza rappresentava per lei la difficoltà più grande. Era la prova decisiva, per essere ammessa fra le Iniziate, e aveva sempre fallito. Sospirando, si accinse a tentare ancora: socchiuse le palpebre, lasciando che il riflesso dorato del sole, rimbalzando sulle antiche pietre del Simbolo, scintillasse attraverso della sottile fessura dei suoi occhi, prolungandosi in lunghe linee ambrate.
Nel mondo degli Eolin, persino la luminosità naturale sembrava aver assunto il colore della resina della vita: la giovane apprendista si lasciò inondare da quel bagliore e si concentrò sulle proprie emozioni, scendendo in profondità nella consapevolezza di sé, fino ai più remoti meandri del proprio io. La luce riempiva il suo animo, come avrebbe fatto un liquido, frugandone ogni anfratto e svelando il più insignificante brandello di pensiero. La ragazza percepiva la presenza di numerosi Eolin, maschi e femmine, che osservavano il rituale in un rispettoso silenzio. Non le importava che potessero vedere il suo corpo nudo, riverso sulla pietra fredda: in quel momento tutto il suo essere, esposto allo splendore della Vera Luce, veniva scrutato ad un livello di intimità così totale, al cui confronto la mancanza di intimità fisica rappresentava un dettaglio insignificante.
La sua voce la raggiunse all’improvviso, ed anche questa volta esplose da un punto imprecisato della sua coscienza, come se l’Eolin, suo maestro e suo sposo, si trovasse contemporaneamente dentro e fuori di lei:
- Chi sei? – domandò colui che adesso, pur amandolo con tutta sé stessa, riusciva appena a riconoscere.
- Io non sono. – rispose. La luce crebbe di intensità, inondando di oro splendente la mente di Dana.
- Cosa desideri? – continuò la voce.
- Non ho desiderio.
L’universo intorno a lei si espanse in un oceano dorato di estasi purissima.
- E chi ricordi? – proseguì l’Eolin, con l’intensità di un immenso diapason.
La ragazza esitò, consapevole che non aveva alcuna possibilità di mentire. Percepiva chiaramente il battito del cuore che le martellava nel petto: il suo suono discordante e caotico distruggeva l’equilibrio dei sensi, sbriciolando l’armonia soprannaturale che stava per esploderle dentro. Dana si aggrappò a quella promessa di beatitudine, agognando l’estasi perfetta che le sfuggiva nuovamente: il dolore di quella perdita le divampò nell’anima, facendola contorcere e urlare sul pavimento di pietra, improvvisamente buio e freddo. Subito lui le fu vicino: le sollevò la desta, aiutandola a respirare, e l’avvolse in una vesta candida, sostenendola mentre tremava con violenza.
- Marid? – domandò il giovane, abbracciandola più stretta.
Dana annuì, singhiozzando.
- Non riesci a dimenticarlo, vero?
- No. – riuscì a rispondere lei, posando il capo sulla spalla forte dell’Eolin a cui si era donata in eterno. – So che smarrire il suo ricordo è la via per giungere ad amarlo davvero: ma è più forte di me.
- Ci riuscirai. – le disse lui, carezzandole teneramente i capelli. Intorno alla coppia, gli altri annuivano solennemente, osservando con tenerezza i due amanti che rimanevano dolcemente abbracciati sul pavimento, a pochi passi dal Simbolo: non provavano vergogna, non serviva alcuna discrezione. Quel loro amore apparteneva a loro due e alla comunità allo stesso tempo, come la resina, la musica, o la magia. Lei lo aveva imparato da tempo, la sua mente stava iniziando a considerare quel modo di vivere e di pensare come naturale e spontaneo: ma la sua natura umana costituiva ancora un ostacolo.
- Riproviamo? – domandò la ragazza, guardando negli occhi il suo sposo.
- Per oggi no, Dana: hai già sofferto molto, potrebbe far male al bambino.
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Poveri Umani
di Chiara Cini
Poveri umani. Si affannano da secoli davanti alla nostra porta per entrare e si perdono nel tentativo. Cercano quello che non potranno mai trovare, perché sono mossi da desideri terreni: denaro e immortalità, non pensano ad altro.
A noi Eolin non interessa il loro destino.
Viviamo lontani da loro, nutrendoci di cultura e di magia. Cosa fanno i popoli inferiori non è affar nostro.
Siamo legati a questa porta da un giuramento che onoriamo dalla notte dei tempi e non concepiamo la violenza, a patto che nessuno ci costringa a difenderci.
Uno stupido uomo ha ucciso un nostro fratello guardiano, proprio sotto all'iscrizione magica che regola l'accesso nel nostro Regno.
Il sangue dorato che è uscito dal suo corpo ha risvegliato i quattro guardiani:
Argor, il più antico, capace di togliere il sonno ad un umano solo guardandolo negli occhi.
Fortig, l'astuto, sigillava con un sol gesto gli orifizi umani provocando una morte orrenda.
Estol, la pia, usava le unghie per dividere in due i guerrieri come se fossero di burro di ghil.
Masada, la temeraria, creava un vuoto d'aria che risucchiava il cuore dal petto, qualunque fosse la corazza.
La guerra è dunque iniziata.
Ti prego, Luna
di Chiara Zanini
C’era una tale pace, su quella cresta rocciosa illuminata dalla luna, che Dana, se solo avesse potuto, si sarebbe messa a gridare di gioia, per sentire la sua voce rimbalzare da una parete all’altra delle montagne. Era da tanto che non si sentiva così bene; almeno da quando sua madre si era messa in testa che doveva compiere la cerimonia della Luna, e superare la prova a ogni costo.
Si inginocchiò sulla pietra, osservando il precipizio sotto di lei. Scalare la roccia delle aquile era stato semplice come prendere un respiro, grazie alla magia che imperversava furiosa dentro di lei. Costringere il villaggio ad accettare la decisione che aveva preso, al contrario, sarebbe stato molto più complicato.
Si guardò le mani: in una teneva la boccetta che le aveva dato l’anziana del villaggio, colma fino all’orlo della pozione magica necessaria per completare il rituale, e farla diventare a tutti gli effetti una donna della comunità adatta a procreare. L’odore era così rivoltante che, anche se lo avesse voluto davvero, buttarla giù sarebbe stata un’impresa al di là delle sue forze.
Nell’altra mano, stringeva… nulla. Nient’altro che una manciata di sogni.
Essere diversa dalle altre. Sfuggire dalle grinfie di Waloor, quell’ubriacone cui la sua famiglia l’aveva promessa in sposa. Unirsi al popolo degli Eolin, le magnifiche creature dalla pelle d’oro. Lasciarsi tutto alle spalle, senza rimpianti.
Sollevò la boccetta, guardando fisso il volto etereo della luna.
E la gettò a terra.
Il vetro si frantumò e la pozione si sparse sulla roccia, ma Dana sorrise. Aveva mandato in frantumi la sua stessa vita, eppure non era mai stata tanto orgogliosa di sé.
Si rimise in piedi e giunse le mani. “Ti prego, Luna,” implorò con tutto il fervore di cui era capace. “Ti prego, esaudisci il mio desiderio.”
Qual era il desiderio di Dana?
Se sei curioso, lo puoi scoprire qui: http://wizardsandblackholes.it/?q=gliuominidoro