Il Curandero

Nel Nome del Peccato

di Luca Mencarelli

Gli occhi bianchi saettavano vispi lungo la pagina, balzando di parola in parola, assorbendo avidamente ogni significato intriso in quei minuti caratteri neri, come stille di conoscenza che penetravano nella sua mente imprimendovisi a fuoco. Rischiarato dalla tremolante luce di una candela, incerta ogni secondo se proseguire la sua silenziosa danza sullo stoppino annerito o sciogliersi in un singulto di fumo biancastro, Gerico era totalmente immerso nella lettura dell’antico tomo. L’alone giallognolo che lo avvolgeva degradava fino a spegnersi in un’oscurità assoluta, che cancellava i muri della stanza, donando alla scena un’atmosfera irreale, una sorta di sogno dimenticato oltre i confini dello spazio e del tempo. L’unico elemento dissonante era il fruscio delle pagine, sfogliate con gesti rapidi e accurati, al fine di preservarne la preziosa integrità, ma intrisi di una furiosa impazienza.
Tutt’intorno il mondo taceva. Persino la tempesta si era placata, come a non voler disturbare gli studi di Gerico, e la fortezza aveva già smesso da molte ore di risuonare dei passi delle guardie e degli ultimi discepoli che si erano attardati nella sala delle preghiere.
Improvvisamente un soffio gelido alitò attraverso l’ampia volta rocciosa della stanza, facendo vacillare pericolosamente la fiammella. Gerico si strinse nel suo pesante mantello nero, senza staccare lo sguardo dal foglio. Una domanda fugace gli solcò l’oceano di pensieri, “quando avrà mai fine questo inverno perenne?”. Ma si era già spenta prima di potersi fissare nella mente, fagocitata da quel fiume di parole scaturito dalle pagine.
“…la piaga è il marchio del peccato, dono di nostro Signore, segno della Sua benevolenza e della nostra debolezza. Nel Nome del Peccato alziamo a Lui i nostri canti di espiazione. Maledetto colui che cancella il peccato, possa egli vivere mille inferni e bruciare in eterno tra le anime dannate…”
-Dovresti essere nella tua cella a riposare a quest’ora.- Una voce, solenne e arcana, che sembrava sgorgata dalle stesse pareti di pietra, lo raggiunse come un richiamo dall’oltretomba.
-Il male non riposa mai, come potrei farlo io?- Rispose Gerico, per nulla sorpreso, proseguendo la lettura.
-Dovresti farlo invece, o quando sarà il momento di affrontarlo ti ritroverai stanco e impotente.-
-Sarò pronto per quel momento.-
-Allora dovrai esserlo sempre. Il male non avvisa quando sta per colpire.-
-Sarò io a colpirlo per primo.-
-Eccellenti risposte. I tuoi studi stanno dando i loro frutti.-
-La conoscenza è potere, e attraverso esso noi eradicheremo il male che si annida in questo mondo.-
-È giunto per te il tempo di entrare in azione. Sei uno dei nostri migliori elementi, e abbiamo una missione che solo tu puoi svolgere. Avvicinati.-
Gerico si alzò, stagliandosi in tutta la sua imponente altezza. Aveva un fisico filiforme ma muscoloso, avvolto in una veste nera con ricami rossi, stretta in vita da una fascia bordeaux su cui era ricamato il simbolo della Santa Congregazione degli Espìanti. Si mosse leggero fino al limitare dell’oscurità, inginocchiandosi ai piedi della figura nascosta tra le tenebre.
-Sono al suo servizio Maestro.-
-Ci è giunta voce che un nuovo curandero ha intrapreso il suo viaggio. Il tuo compito è inseguirlo, braccarlo, catturarlo e scoprire il luogo in cui è diretto. È di vitale importanza che tu ottenga quest’informazione, ne va della sopravvivenza dell’Ordine e del mondo stesso.-
-Non la deluderò Maestro.-
-Ne sono certo. Conosci bene quale sarebbe la tua punizione in caso di fallimento.-
-Quali sono i suoi comandi?-
-Raduna le tue cose, partirai domani all’alba per le terre dell’ovest. Ti forniremo una scorta, e ovviamente avrai l’appoggio di tutti i centri della Congregazione sparsi sul territorio.-
-Abbiamo qualche notizia sul curandero?-
-Non molte. Il tuo compito sarà anche di raccoglierne altre. Adesso vai in pace, e che il tuo fardello ti accompagni.-
-Possa io soffrire per tutti i miei peccati.-
Così come repentinamente era apparsa, l’ombrosa figura si dissolse lasciando Gerico da solo. L’inquisitore sogghignò, leccandosi con la lingua guizzante le labbra viola e livide. La caccia aveva inizio.
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Dare un volto al peccato

di Chiara Cini

Le dita sottili sfioravano delicatamente la pelle, percependo inclementi i contorni regolari dell'escrescenza.
Non provava dolore fisico, Leila, mentre accarezzava con delicatezza quel piccolo ponfo sotto all'ascella che l'avrebbe portata alla morte.
Ovunque posasse lo sguardo vedeva persone ammalate che, ridotte ad una larva, esalavano gli ultimi respiri. La sua bellezza e la giovane età, l'avevano quasi convinta di essere immune a tanta sofferenza e marcescenza.
Ora che si trovava davanti allo specchio con quel segno così netto sul suo corpo, si rendeva conto invece della fragilità dell'esistenza.
"Ho ancora una speranza, però. Non dovrà saperlo nessuno, altrimenti i miei giorni termineranno prima che il morbo si faccia strada dentro di me”  pensò mentre attendeva l'uomo, il reietto, che avrebbe inciso il male.
Leila non riusciva però a cacciare dalla sua mente la portata di quanto stava per fare. Poteva lei commettere il più grande dei peccati solo per salvaguardare il suo corpo dalla corruzione della malattia? Chi le dava questa presunzione, forse la voglia di vivere in un mondo piagato dal peccato poteva spingerla a commettere l'eresia più grande?
Non morirò... e non succederà niente se non guarderò in faccia il guaritore... farò scivolare appena la mia veste, non gli darò modo di ricordarsi di me, né a me di lui”.
Ma quando sentì bussare alla porta, un brivido di paura la scosse profondamente, spingendola ad agire diversamente.
Se doveva commettere il più grave dei peccati, voleva potergli dare un volto.

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Sotto il manto informe della nebbia

di Spartaco Mencaroni

Sotto il manto informe della nebbia, la distesa scura della vallata dormiva nel buio, rischiarata dalla luce lunare che occhieggiava a tratti fra le nuvole. Il percorso dell'antica via si intuiva appena: agli occhi esperti dell'uomo appariva come una linea spezzata immaginaria, che serpeggiava fra le alture, verso nord, congiungendo gli aloni biancastri dei rari villaggi.
Castore sbatté gli occhi, che stentava a tenere aperti, e si morse con forza il labbro inferiore per scacciare il sonno: anche se il Passo di Altanebbia era sicuro, non avrebbe mai permesso alla sua famiglia di trascorrere una sola notte in viaggio senza organizzare i turni di guardia; a  lui toccava il compito di dare il buon esempio.

Quasi in risposta ai suoi pensieri, udì un fruscio leggero provenire dal sentiero alle sue spalle: qualcosa di appena percettibile, che si interruppe subito, per poi riprendere dopo alcuni istanti, continuando nel ritmo lento di un passo furtivo. Rimase immobile, lo sguardo fisso nel buio, ascoltando i rumori avvicinarsi con circospezione. Poi, senza voltare la testa, disse all'improvviso:
- Decisamente, Leila, tu non diventerai mai un sicario!
- Mi hai fatto prendere un colpo! - sospirò la donna, trattenendo un grido. Abbandonando le sue cautele, colmò la distanza che la separava dal marito e si sedette al suo fianco sul ciglio del profondo burrone. - Non riuscirò mai a capire come fai ad accorgerti del più piccolo rumore: sei peggio di un serpente.
Castore non rispose, limitandosi a cingerle le spalle con il braccio. Erano molte le cose del genere che sapeva fare; dopo trent'anni, lei non ne conosceva ancora che una minima parte.
- I ragazzi dormono? - domandò lui.
- Elanor e i gemelli sono crollati appena abbiamo fermato il carro. Jordan ha provato a fare la guardia alle bestie per un po', poi è crollato sull'erba: non ho avuto il coraggio di portarlo dentro, per non ferire il suo orgoglio, e gli ho buttato addosso una coperta.

L'uomo sorrise orgoglioso e strinse più forte la sua compagna. Sotto la stoffa ruvida del vestito, la sentì irrigidirsi leggermente, prima di abbandonarsi al suo abbraccio. Per alcuni minuti rimasero entrambi in silenzio, aspettando la domanda che lei non si decideva a fare.
- È questo il posto, non è vero? - chiese alla fine, sussurandogli dolcemente le parole all'orecchio.
- Sì.
- Merlino lo sa?
- Credo che l'abbia compreso. Adesso sta dormendo?
Nel buio, Leila scosse il capo, poi si rese conto che lui non poteva vederla.
- Credo di no. - rispose. - Ho visto il chiarore della lanterna filtrare dalla sua tenda, prima.
- Allora andrò a parlargli.
Castore fece per alzarsi, ma la mano della moglie lo trattenne.
- Non fare così, Leila. - fece lui, carezzandole dolcemente i capelli. -Sai che non possiamo rimandare ancora.
- Oh mio Dio... ma perché proprio quest'anno? Con tutte le tempeste, quella nuova ondata di febbri suppurative che imperversa nelle paludi, e la carestia... Laggiù sarà pieno di briganti, e le pattuglie degli Inquisitori...
- Merlino sa badare a sé stesso. È diventato un uomo; ed io gli ho insegnato tutto quello che conosco. È pronto, Leila.
Così dicendo, si liberò della sua stretta e si avviò verso il cerchio delle tende, montate intorno al carro, al centro della piccola radura che la luce lunare illuminava quasi a giorno. Alle sue spalle, in silenzio, la donna iniziò a piangere.

Raggiunse la tenda di Merlino ed esitò per un istante, con la mano sospesa davanti all'entrata, evitando di toccarne i lembi.
- Venite, padre. - gli rispose la voce sicura del giovane.
Castore si chinò e varco l'entrata, sorridendo compiaciuto.
- Vedo che la tua abilità nella percezione sensoriale è cresciuta ancora.
- Merito dei vostri insegnamenti. 
Merlino, seduto con le gambe incrociate, continuava a tenere lo sguardo basso, fissando ciò che teneva in grembo e proseguendo il suo lavoro. Suo padre osservò il pezzo di carne fresca,  dove era stato praticato un taglio netto e profondo: una buona metà della lacerazione era stata ricucita a regola d'arte. Il giovane incrociò lo sguardo dell'uomo, sorrise soddisfatto e riprese a suturare, con gesti rapidi e sicuri.
- Stai diventando molto abile anche in questo. La tua formazione è completa, Merlino.
- Ho ancora molta strada da compiere per avvicinarmi a...
- No. -  lo interruppe l'uomo. - Sei pronto, ragazzo. Sei un Curandero.

Merlino non riusciva a smettere di muovere le mani. Quelle parole, quel momento: quante volte se lo era immaginato? Per molte notti aveva sognato di trovarsi lì, davanti a lui, per ricevere la sua benedizione prima di intraprendere la propria missione.  Aveva immaginato di alzarsi in piedi, con lo sguardo solenne, e sollevare una mano per stringere quella del suo genitore e mentore: una stretta virile, da uomo a uomo, che suggellasse la sua maturità e il suo rango di guaritore.
E invece si limitò a sorridere scioccamente, balbettando parole senza importanza, e rimase seduto come un ragazzino impacciato, mentre suo padre gli scompigliava i capelli con affetto.
Alla fine, Castore si alzò per uscire. Sulla soglia della tenda, si voltò e gli allungò una piccola borsa scura, che fino a quel momento aveva tenuto nascosta sotto il mantello.

Merlino sapeva cosa avrebbe trovato al suo interno: conosceva alla perfezione gli strumenti del suo mestiere e i generatori meccanici a dinamo, in grado di alimentarli. Sapeva far funzionare al pieno delle sue potenzialità il piccolo laboratorio microbiologico, il sequenziatore di farmaci, lo sterilizzatore, il radiografo miniaturizzato e gli altri prodigi che quel mondo aveva dimenticato.

Nella luce fioca della tenda, il ragazzo aprì la sua borsa, che da quel momento lo avrebbe accompagnato per sempre. Dal suo equipaggiamento, scelse l'unico oggetto che non aveva ancora visto. Lo trovò più piccolo di come se l'era immaginato, quasi insignificante. Fece scorrere le dita sulla superficie liscia e fredda del vetro, poi trovò il pulsante di accensione. Suo padre doveva averlo caricato per lui, prima di consegnarglielo. Con un trillo musicale, l'antico strumento prese vita e un chiarore azzurrognolo si diffuse nella tenda: quella luce gli avrebbe indicato la vita del suo esilio, accompagnandolo per tutto il resto della vita.

La voce di suo padre lo raggiunse dal buio.
- Partirai domani, Merlino: puoi salutare tua madre e tuoi fratelli, ma fai in modo che il sole ti trovi già in cammino.
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