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Una recluta al poligono

di Salvatore di Sante

Le raffiche si interruppero quando entrò accompagnata dal sergente Berardi, incaricato per l'occasione di farle da istruttore.
- E quella sventola chi è? - sussurrò un agente al collega che faceva una pausa.
- La nuova arrivata. La ragazza di Jim.
- Ah. Ma li ha diciott'anni?
- Lo spero per Naspetti, ci manca solo che il commissario vada nei casini per aver arruolato una minorenne...
Guen rivolse loro un sorrisetto mentre si accomodava alla postazione e i due trasalirono come colti in fallo. Non poteva averli sentiti, non con le cuffie, erano solo bisbigli. Senza contare che nel frattempo le calibro nove avevano ricominciato a martellare.
- Aspetta, - la ammonì l'istruttore indicando un cartello dove campeggiava «È obbligatorio indossare cuffie e occhiali di protezione.»
- Gli occhiali sono solo un impiccio, - rispose Guen.
Il sergente fece spallucce. Fa' come ti pare, se ti fai male cavoli tuoi.
Prese la mira visibilmente impacciata. Al momento di premere il grilletto strappò e il colpo si perse, alzando uno sbuffo nella monticciola dietro il bersaglio.
I due che la osservavano si scambiarono un cenno ironico; Guen appariva stupita del potente rinculo. Berardi si lisciò sardonico i baffi grigi. Aveva usato una sola mano, errore da principiante: col grosso calibro a 25 metri è già difficile prenderci impugnando saldamente a due mani.
Svuotò svogliatamente il primo caricatore, in apparenza per nulla seccata che la sagoma del soldato laggiù in fondo fosse ancora intonsa, come verificò e riferì il corpulento sergente munito di binocolo. Ricaricò, armò la pistola e riprese posizione.
- Non così, - la schernì Berardi. Le prese le mani nelle sue, che sembravano due rugose palette da neve. - Non è una 22. La mano debole deve fornire uguale supporto per sorreggere l'arma in modo sicuro. - Si atteggiava a grande esperto mentre incombeva sull'aggraziata silhouette di Guen. - Polsi dritti per assorbire il rinculo, pollici uno sopra l'altro e bloccati verso il basso. Ecco, così. - E le si avvicinò ancora un po', distendendole le braccia e portandosi dietro di lei, quasi a sfiorarle i fianchi. - Ecco... adesso sei pronta a far fuo...
Con un guizzo inaspettato Guen si divincolò dalle grinfie dell'omone ed estrasse il caricatore. Berardi rimase di sasso. I due curiosi seguivano la scena divertiti.
Guen scarrellò la Glock 17T e con scatto felino intercettò al volo l'ultimo colpo, quello in canna. Fissando l'istruttore con ghigno beffardo appoggiò la pistola sul banco e mise la pallottola sul palmo della mano. Sorridendo schiccherò il proiettile che scomparve fischiando.
Dopo un attimo di esitazione il sergente puntò il binocolo sul soldato di carta. Adesso aveva un unico foro, proprio in mezzo alla fronte. Berardi farfugliò qualcosa senza riuscire a dare alla frase un senso compiuto, mentre Guen soddisfatta si dirigeva verso l'uscita ancheggiando con un pizzico di malizia. Passando davanti ai due fece loro l'occhietto, prima di lasciare le cuffie su un tavolino e richiudere dietro di sé il massiccio portone di ferro.
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Per sempre diciassettenne

di Salvatore di Sante

La matita si puntò sul quadernone perché con la coda dell'occhio aveva captato un movimento nel parco della scuola. La panchina era deserta, uno stormo di foglie secche danzava stancamente attorno alla quercia. Riprese quindi a tratteggiare il suo drago corazzato fra gli appunti di storia. Nemmeno questa volta Guen si era accorta che Stefano dall'ultimo banco la osservava insistentemente. La campanella mise fine al monologo del professore su Napoleone Bonaparte e anche la sua classe si riversò nell'androne mescolandosi al fiume di studenti che invadevano chiassosamente il cortile. I più prendevano a piedi mentre pochi fortunati inforcavano le motociclette e filavano via tra il puzzo dell'olio e le dense fumate di scarico.
- Ci vieni stasera alla festa di Stefano? - Marta le si fiondò addosso comparendo dal nulla.
- Ancora non so, - rispose Guen abbozzando un sorriso.
- Eddai, mi sa che gli piaci.
- Peggio ancora. Non voglio casini.
- Non ti piace quel fusto? - la stuzzicò l'amica.
- Al momento non mi interessano queste cose. Accomodati pure, è tutto tuo.
- Magari! E' lui che non mi si fila, sennò... ops! - esclamò Marta dandole una gomitatina.
- Ciao. Ci siete stasera alla mia festa? - Lupus in fabula: Stefano le aspettava al varco nascosto dietro la quercia.
Guen guardava per terra imbarazzata, giochicchiando con qualche foglia.
- Certo! A che ora? - cinguettò Marta ignorando bellamente le occhiatacce dell'amica.
- Alle otto alla mia casa di campagna. Sapete dov'è, vero? I miei non ci sono. Portate da mangiare, i ragazzi portano da bere.
- Ci vediamo lì allora, - disse Marta facendogli l'occhiolino. Ma Stefano non aveva smesso un attimo di guardare Guen che invece non staccava mai gli occhi dal marciapiede.
- Allora a stasera, eh! - lo incalzò Marta sforzandosi di esibire un tono di voce ancora più squillante. Niente da fare. Stefano non la sentiva neppure, la sua attenzione era tutta per Guen.
- Vabbe' - sospirò Marta, rassegnata a rimanere in ombra. - Ciao ciao! - tagliò corto poi tirando l'amica per un braccio.
- Oh, è proprio vero: chi ha il pane non ha i denti e chi ha i denti non ha il pane. Ce l'avessi io uno così che mi viene dietro...
Guen le rispose sospirando: - Domani c'è anche il compito in classe di latino, non ho voglia di venire alla festa.

Da qualche minuto aveva superato il bivio dove di solito si separavano per tornare ognuna a casa propria. Guen si stava chiedendo se non fosse il caso di ripensarci, quando una voce alle sue spalle materializzò i suoi pensieri con un tempismo sbalorditivo.
- Sei davvero sicura di non voler venire alla mia festa?
Anche se lì per lì avrebbe voluto rispondere che invece sì, ci sarebbe stata anche lei alla festa, si voltò di scatto stizzita e sbottò:- No, non posso. Devo studiare!
Rimase di sasso. La voce era stata quella di Stefano, ma il tizio davanti a lei non era Stefano. Un soffio d'aria gelida la fece rabbrividire. Si guardò attorno soffocata da un'improvvisa vampata d'angoscia, cercando scampo in qualche anima pia che passasse da quelle parti. La strada era deserta. Un refolo bistrattò un mulinello di foglie accendendole un'intuizione: quei lunghi capelli neri. Lo svolazzo del soprabito in pelle: era lui dietro la quercia, a scuola! Lo sconosciuto rimaneva in silenzio, inchiodandola con uno sguardo glaciale che sapeva di distanze siderali, di qualcosa che riemerge inesorabile dalle tenebre. Provò a chiedere chi fosse ma le parole le morirono in gola. Lo sconosciuto la bloccò stringendole le braccia. In piedi di fronte a lei la sovrastava di trenta centimetri buoni. Voleva disperatamente scappare ma il corpo non rispondeva, le gambe erano un blocco di cemento. Era paralizzata, riusciva solo a muovere gli occhi. Poi quella voce le entrò in testa come un sibilo, senza che lui muovesse le labbra. Sembrava mormorasse dagli occhi.
- Ciao Guendalina. Alla fine ti ho trovata. C'è un legame speciale che ci unisce, gli Antichi non scelgono a caso i loro seguaci...

Lentamente mise a fuoco il lampadario sul soffitto, nella penombra diafana di camera sua. Si tirò su a sedere. La sveglia sul comodino faceva le quattro e mezza di notte. La testa le girava e pulsava dolorosamente. Si sentiva stranita, distante. Come era tornata a casa? Il ricordo balenò e trasalendo si portò la mano al collo. I polpastrelli sentirono una lacerazione. Si trascinò in bagno con passo malfermo. Accese la luce e una fitta la piegò in ginocchio, strappandole un gemito. Gli occhi avvamparono come se ci fosse entrata della sabbia. Quando riuscì a riaprirli intravide due piccoli fori dai contorni frastagliati, sul collo della ragazza che la fissava spaventata dallo specchio.
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Il diario

di Salvatore di Sante

Dal diario di Jim: 16-12-2014

1984 sbucciato testa mensola 1985 caduto scale 1986 incidente in bici 1987 rotto piede
1996 investito da camion sulle strisce-braccio rotto emorragia interna-guarito in sette giorni- massimale panca 150 Kg.

Siete superstiziosi? A me ogni volta che sento parlare di gatti neri che attraversano la strada o di non passare sotto una scala mi viene da ridere.
Ciao a tutti. Mi chiamo Jim, sono un poliziotto. E la mia vita è tutto un 17.
Domani è il mio 34esimo compleanno e se sopravviverò forse riuscirò a battere la mia ragazza a braccio di ferro. Guen... se penso che potrei non rivederla più mi sale il panico, mi viene da vomitare. Come se già non fosse un problema stare con una di 17 anni. Vaglielo a spiegare alla gente che ha 17 anni da un bel pezzo...
Poi c’è Alex, il mio migliore amico. Non voglio morire, mi mancheranno le nostre sfide, la mia Viper contro la sua Ducati.
Non riesco a prendere sonno. Di male in peggio, domani avrò bisogno di essere al 100%. Incrociate le dita per me...!
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Gregor

di Salvatore di Sante

Jim sentì il tonfo e si sporse di scatto oltre la fila di armadietti. La sorprese col pugno ancora serrato e gli occhi velati di lacrime; un accenno di canini le scendeva dal labbro.
- Che hai Guen, che succede? - disse lanciando un'occhiata al pezzo d'intonaco che si era staccato dalla parete.
Non si aspettava di trovarlo lì, credeva che i colleghi se ne fossero già andati tutti. Aveva riposto il distintivo e la camicetta dell'uniforme ed era rimasta in reggiseno.
Dopo qualche istante di esitazione decise che il suo ragazzo doveva sapere.
- Il cadavere scoperto oggi... - bisbigliò.
- Il vampiro. Sì, e allora?
- Aveva una «G» tatuata sul braccio...
- Non ci ho fatto caso, cosa significa?
- Sta per Gregor.
- Azzo! - sbraitò di colpo Jim. No, scusa piccola: ho dimenticato a casa la chiave dell'armadietto... un'altra volta... di 'sto passo mi fumerò uno stipendio in lucchetti...
Guen sorrise. Era di nuovo riuscito a sdrammatizzare e a tirarla un po' su, anche se in modo comico e del tutto involontario.
Jim si guardò un attimo intorno, poi al sicuro da sguardi indiscreti strappò il lucchetto con uno strattone.
- E chi è Gregor? - le chiese poi lanciando il blocchetto d'acciaio nel cestino, a mo' di tiro a canestro.
Guen tornò seria e un'ombra le passò sul viso. - Stavo con lui prima di mettermi con te. E' lui che mi ha trasformata. Credo mi stia cercando.
- Non gli permetterò di farti del male.
- Tu non lo conosci! - urlò lei. - E' troppo forte per noi due.
- E per noi tre invece? - esclamò Alex facendo capolino dagli armadietti.
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Toccata e fuga al Coast to Coast

di Salvatore di Sante

Il commissario Naspetti bofonchiava chino sul verbale ripetendo l'ultima frase per convincersi che suonasse bene, oltre che riportare fedelmente le circostanze dell'arresto. Odiava perdere tempo con le scartoffie, specialmente quando si trattava di un pesce piccolo.
- Posso? - Guen si affacciò nella stanza bussando piano.
- Entra. - Naspetti le rivolse con noncuranza un gesto della mano, continuando a ragionare sul manoscritto (non era molto pratico di computer e per sicurezza faceva sempre una stesura su carta prima di digitalizzare il tutto).
 - Uhm... dunque... l'agente Baldini ha sparato... no, ha esploso tre colpi in aria intimando di fermarsi... Ecco. Oh, scusa - disse poi alzando lo sguardo e appoggiando la biro sulla scrivania - dimmi.
- Volevo ricordarle che domani ho preso la giornata libera.
- Sì sì me lo ricordo. Ah! - la bloccò che si era già voltata e impugnava la maniglia.
- Sto scrivendo il verbale per quel tossico di Alessi che abbiamo arrestato stamattina. Ci ha detto dove trovare il complice.
- Terenzi? - fece Guen.
- Esatto. Fa il barista al Coast to Coast tutte le sere dalle sei.
- Ok, ci vado subito e lo porto qui.
- Intero mi raccomando...
- Sissignore! - e sorridendo scomparve

Il capellone che la vide scendere dalla mastodontica Guzzi con la livrea bianca e blu la spogliava con gli occhi a ogni passo che faceva. Guen gli sorrise ed entrò nel bar dribblando due Harley parcheggiate malamente.
- Salve ragazzi. Polizia. Dov'è Luca Terenzi?
Nessuno rispose. Tutti la fissavano: chi divertito, chi eccitato e chi arrabbiato
- Ehi bambolina non sei un po' troppo giovane per giocare ai poliziotti? - era il tipo seduto fuori che adesso le stava alle spalle.
Senza scomporsi Guen gli appiccicò sul naso il distintivo contraffatto.
- Forza, non ho tempo da perdere. Tra poco finisco il turno e gli straordinari non me li pagano quindi... dov'è?!
- Te lo dico se ti fai offrire da bere - un troglodita con una camicia senza maniche unta di grasso di motore si era staccato dal bancone con una Bud in mano e le si era avvicinato gonfiando il petto, esibendosi in una camminata da duro.
- Grazie ma non bevo in servizio - rispose Guen accentuando un sorriso ipocrita.
- Allora perché non mi offri tu qualcosa... - ghignò il tipo allungandole una mano verso i fianchi.
Guen scattò e gliela strinse in una morsa.  - Giù le zampe! - ringhiò. Le iridi guizzarono di un lampo giallastro. Strinse finché il ceffo non iniziò a urlare, poi mollò la presa. L'energumeno barcollò indietro per qualche passo poi le ruppe in faccia la bottiglia di birra.
Guen incassò senza un gemito e tornò subito a fissarlo. I tagli rossi sul viso si chiusero in un istante e la pelle tornò di porcellana come se non fosse successo niente.
- Bene. Aggressione a Pubblico Ufficiale. Questo mi autorizza a reagire. - colpì il tizio col palmo della mano scaraventandolo contro le mensole dei liquori che rovinarono a terra in una pioggia di legno e vetro.
A un secondo ceffo bloccò la stecca da biliardo a mezz'aria, gliela ruppe in testa e con un calciò lo spedì attraverso la finestra a ruzzolare malconcio nel parcheggio polveroso.
- Che cazzo succede qui? - da una porticina nascosta dalla tappezzeria sbucò un ciccione pelato col pizzetto, gli occhiali scuri e una bagascia in topless alla cintura.
- Luca Terenzi, il tuo amico ha confessato. Sei in arresto per spaccio di cocaina. E a quanto pare... - aggiunse Guen squadrando la signorina - anche per favoreggiamento della prostituzione.
- Ma succhiami l'uccello! - berciò Terenzi facendo apparire dal cilindro un fucile a canne mozze e spintonando via la dolce metà.
Sparò e pompò fino a svuotare il caricatore. Centrata dai pallettoni, fu fatta letteralmente volare contro il muro; frantumò due quadri e scivolò sul pavimento lasciando una scia rossa sulla parete.
- Affanculo! - esclamò Terenzi soddisfatto. Stava per tornare alla saletta privata a riprendere il divertimento quando un rumore e un presentimento lo fecero esitare.
Si voltò e si ritrovò Guen a due centimetri dalla faccia. Troppo tardi per abbozzare una reazione: strabuzzò gli occhi e rantolando stramazzò a terra senza fiato, afflosciato da un montante fulmineo.
Guen lo prese per la cintura e si affrettò verso l'uscita. - Lo porto in centrale, è in arresto. Si fermò un attimo. - Il dipartimento le rimborserà i danni al locale. - disse al barista con voce piatta. Quello continuò a guardarla attonito.
- Cazzo, che stupida! - sibilò una volta uscita, guardando la Guzzi.
Per fortuna un pick-up fosforescente addobbato con sgargianti lingue di fuoco le inchiodò davanti in una nuvola di polvere.
Guen sorrise fra sé.  - Requisisco il veicolo per un'azione di polizia - comunicò al conducente appena sceso. Vedendo l'uniforme costellata di fori grandi come palle da biliardo e Terenzi tenuto come una borsa della spesa, quello tremando le lanciò le chiavi del furgone.
- Tu prendi la mia moto e seguimi al commissariato!
Il tizio annuì come uno zombie, sotto lo sguardo dei pochi avventori rimasti che si erano accalcati all'ingresso.
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