Draconia
L’alchimista
di Teresa Regna
L’uomo procedeva adagio, inoltrandosi lungo il sentiero che conduceva all’amba, dalla parte opposta del villaggio, senza alcuna fretta. Il vento impetuoso, proveniente dal deserto, faceva svolazzare la tunica candida, mentre la sabbia che mulinava intorno a lui penetrava fin dentro il burnus.
Efraim, per nulla infastidito dal vento, si fermò per un attimo, passò la mano libera sugli occhi socchiusi, per liberarli dai granelli di sabbia che minacciavano di accecarlo, poi riprese il cammino interrotto.
Appeso al braccio destro portava un cesto, piuttosto grosso, contenente ciò che gli occorreva per portare a termine il compito che si era prefisso. Gli strumenti che aveva avvolto in un panno pulito affinché non si deteriorassero, perdendo parte dei loro poteri, avevano un peso irrisorio ma un immenso valore.
Giunto in prossimità della caverna che costituiva la sua meta, proseguì con cautela, tentando di rimanere sottovento. Se la preda avesse fiutato il suo odore sarebbe stato in pericolo di vita.
Sorrise tra sé: gli sembrava di sentire ancora le raccomandazioni che Betheda gli aveva indirizzato quando era uscito, quella mattina. – Sta’ attento, dovunque tu sia diretto. Desidero che torni a casa sano e salvo. La moglie non era una gran bellezza, ma la amava immensamente, e ne era ricambiato.
Efraim afferrò, a colpo sicuro, la fiala contenente il veleno. Per precauzione, ne aveva preparato una dose tripla di quella che gli sarebbe stata sufficiente. La tenne con la sinistra, lontano dal corpo per non esserne contaminato, e si avvicinò all’imboccatura della caverna. Abbandonato il comportamento circospetto, si mosse in fretta, supportato dalla determinazione che era parte del suo carattere.
Gettò la fiala con il veleno oltre la grossa apertura naturale, e attese che producesse i suoi effetti nefasti. Una fiamma esile serpeggiò sul terreno pietroso, poi si estinse.
– Il drago è morto – disse l’uomo, ad alta voce, quasi ad esorcizzare il pericolo che aveva corso.
La caverna, pur essendo molto ampia, pareva quasi rimpicciolita dal corpo di dimensioni gigantesche, ormai senza vita, che vi giaceva disteso. Il drago era verde brillate, con le ali rossastre, e le unghie gialle, snudate ad artigliare il terreno pietroso in un ultimo spasimo prima della fine.
Estratto il coltello affilato, Efraim si accinse a portare al termine il suo compito. Scalò le zampe per arrivare alla testa, e incise la carne con un taglio netto. La draconia era lì, immersa nel grigiore del cervello, e splendeva come un immenso rubino.
Discese fino a toccare di nuovo il pavimento della caverna, tenendola in mano come una reliquia, la poggiò a terra ed estrasse dal cesto l’ampolla contenente la sua arma più potente. Non l’aveva usata prima per non rischiare di danneggiare la draconia, ma ora intendeva far sparire le prove dell’uccisione del drago.
Versò sul cadavere l’intero contenuto dell’ampolla, e osservò per pochi attimi il fumo azzurro che da esso si sprigionava. Avrebbe voluto rimanere ad assistere alla dissoluzione del drago, ma un’ombra si profilò sul terreno sabbioso, appena oltre l’imboccatura della caverna. Qualcuno lo stava osservando.
Richiuse l’ampolla, la posò nel cestino, e avvolse in tutta fretta la draconia nel panno che aveva portato con sé, adagiandola accanto agli strumenti da alchimista. Voleva evitare che si venisse a sapere, al villaggio, che aveva ucciso un drago e preso la sua draconia, per cui corse fuori come il vento e imboccò il sentiero che costeggiava l’amba.
Non si era accorto che, al di sotto del corpo del drago, che si stava dissolvendo a poco a poco, si intravvedevano tre uova.
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