L'Ultimo Lavoratore

La promessa di Garibaldi

di Luca Salmaso

Quel pomeriggio ero a casa da solo e decisi di svagarmi, navigando nella realtà virtuale.  Indossai i guanti e la maschera anatomica di fibra scura che mi copriva l’intero volto e le orecchie.  Dapprima gironzolai per i siti di informazione, soprattutto quelli sportivi e poi passai ai giochi on line in tre d, contro avversari reali, collegati in rete. Tra quelli più in voga scelsi quello della battaglia spaziale vicino al sole. Lo trovavo intrigante, come vido-olo-game, perché, mentre si combatteva, era necessario anche impegnare il cervello e prestare attenzione a tutti i fenomeni solari, come le tempeste, le eruzioni, oltre, naturalmente, alla distanza, per non avvicinarsi troppo. Dopo aver giocato per alcuni minuti, in genere, si cominciava ad avvertire la sensazione di calore e la cosa assumeva tratti davvero realistici, al punto che spesso la vittoria arrideva, non al più abile, ma al più forte mentalmente, capace di resistere al disagio e mantenere la concentrazione.
All’inizio me la cavai piuttosto bene e costrinsi alla resa diversi “nemici”. Poi, però, accadde qualcosa sul sole. La grande sfera incandescente prese a ingrandirsi. La cosa non era prevista nel gioco e ogni giocatore protestava con gli altri, credendo che qualcuno barasse. Anch’io fui tempestato di domande, ma in realtà non ne sapevo nulla. La massa infuocata continuò a espandersi e presto ci avrebbe inglobato tutti. Stava per trasformarsi in una nova. Cominciai a sentire bruciore agli occhi per l’intensità eccessiva della luce. Provai a scollegarmi, ma non ci riuscii, i comandi non rispondevano Decisi allora di togliermi la maschera, senza aver spento, ma la cosa non era tanto semplice, dato che prima dovevo togliermi i guanti e poi la maschera, il tutto rimanendo nella realtà virtuale. Ci voleva del tempo, quindi, durante il quale l’intensità luminosa continuava ad aumentare, tuttavia, per fortuna la cosa venne risolta da… un uomo a cavallo. Sì, proprio così, in mezzo a sofisticatissime navicelle spaziali, comparve, dal nulla, uno strano personaggio, vestito con una camicia rossa e dei pantaloni azzurri, montato su uno splendido destriero. Dalla bocca dell’animale uscì un raggio di luce che colpì in pieno il sole e lo fece sparire. Di colpo tutto si calmò e mi ritrovai, come gli altri, alla deriva, nell’oscurità del cosmo.
Mi accinsi di nuovo a togliere la maschera e di nuovo mi fermai, allibito da ciò che vedevo. Il cavaliere spaziale aveva agganciato, con una fune, la mia astronave per trainarmi, a gran velocità verso la terra. In pochi attimi la raggiungemmo, per tuffarci in picchiata, penetrando nell’atmosfera. La luce ci avvolse in una lampo accecante e di colpo lo scenario cambiò.
Attorno a me si materializzò un ambiente che riconobbi subito: la grande sala interna del Palazzo della Ragione. Su tutto troneggiava la sagoma imponente del cavallo ligneo. Apparentemente non c’era nessuno. Cercai di muovermi e vidi che i comandi ora funzionavano perfettamente. Uscii nel loggiato e guardai sotto. Rimasi senza fiato dalla sorpresa. Chiunque fosse l’artefice di quella realtà virtuale, pensai, doveva essere davvero abile. Carrozze, cavalli, soldati e bancarelle. Un caleidoscopio di gente e animali di quella che doveva essere la Padova di almeno due secoli fa.
- Maran!
Qualcuno dall’interno mi aveva chiamato. Mi girai, varcai la porta finestra e, una volta rientrato, mi trovai di fronte nientemeno che a Giuseppe Garibaldi. Sì proprio lui, il grande condottiero vestito con la famosa camicia rossa e i calzoni azzurri, sui quali si appoggiava una lunga spada.
- Chi sei?  Come mi hai portato qui?
- Sono l’eroe dei due mondi, quello reale e quello virtuale, anche se ultimamente, a dir la verità, frequento solo quest’ultimo. Per farmi riconoscere, Maran, ti mostrerò la mia vera faccia, guarda.
- Per la miseria, - dissi – non posso credere che sia tu. Dunque sei vivo.
- Certo che sono vivo, - rispose, - non ve ne siete accorti l’anno scorso, quando ho fatto schiattare i phone di mezza Europa?
- Già, - ripresi io, - è vero, ma molti dubitavano che fossi tu. Ritenevano impossibile che un uomo solo potesse fare una cosa del genere. Ma perché lo hai fatto?
- Bè, qualcosa si era rotto dentro di me. Si può dire così. In quel periodo se avessi potuto dare fuoco al mondo, l’avrei fatto. Ora le cose sono migliorate. Ho ritrovato un certo equilibrio.
- Mi fa piacere sentirlo. Che è successo prima?
- Non sono sicuro Maran, credo fosse un virus. Molto potente. Stava per installarsi nel sistema del gioco.  Forse l’esplosione della nova avrebbe potuto causarti dei danni alla vista se non riuscivi a staccarti in tempo. A te come agli altri.
- Meno male che lo hai distrutto.
- Non proprio. Per ora l’ho soltanto ricacciato da dove è venuto.
- Come sapevi che ero qui?
- Non lo sapevo. Ti ho tracciato non appena ti sei collegato in rete. In realtà volevo incontrarti. Non potevo immaginare l’attacco hacker. Avrei una cosa per te.
- Ah sì? Quale?
- Bè, come ricorderai, tu mi salvasti la vita. Quando ci fu quell’orribile vicenda, in facoltà, ci mancò veramente poco che finissi in gattabuia per sempre. Vorrei provare a ricambiare il favore, per quel che posso. Ti farò pervenire un codice, costituito da una sequenza di lettere e numeri, con il quale mi potrai raggiungere da qualsiasi piattaforma virtuale. Se ti dovesse servire il mio aiuto, potrai contare su di me. L’importante è che nessuno sappia quel codice e quando dico nessuno, intendo proprio nessuno. Arrivederci Maran!
Se ne andò e io chiusi la connessione. Mi liberai di tutti gli apparecchi e uscii di casa per fare una passeggiata. Ne avevo bisogno. Camminando, ripensai all’incontro con l’uomo che adesso si faceva chiamare Garibaldi. Era stato un matematico geniale al Bo. Una mente tanto prodigiosa, quanto fragile. Il nostro incontro risaliva proprio al tempo della sua misteriosa sparizione, quando l’università fu sconvolta per un terribile omicidio di cui fu ingiustamente accusato. Condussi io le indagini e scoprii il vero colpevole, così lo salvai da una possibile condanna a vita. La vicenda però lo colpì duramente e minò il suo precario equilibrio. Scomparve senza lasciare tracce e tutte le ricerche successive furono vane. Dopo tre anni, riemerse dall’oblio, rivendicando la creazione del bug che mandò in tilt, per diverse ore, i phone di milioni di europei.
Dunque si era rifatto vivo e mi aveva offerto la sua collaborazione. La cosa appariva interessante: nel mio lavoro di poliziotto e investigatore prima o poi, ne ero sicuro, mi sarebbe stato molto utile.
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