Layra gioco di maschere
Black
di Laura Cazzari
Le gambe dondolavano al ritmo delle onde che si infrangevano sul molo.
I numerosi orecchini a forma di croce oscillavano in senso opposto, mentre la cresta rossa veniva spettinata dalla leggera brezza che accarezzava la superficie del mare.
Il dito tamburellava sul pontile al ritmo di una vecchia canzone che aveva sentito poco prima alla bettola dove aveva fatto il pieno di olio per motori di pessima qualità, e intanto cercava di tenere a bada la noia.
Il molo brulicava di navi, alcune erano semplici pescherecci di ritorno da un’intensa nottata di pesca, altre erano astronavi mercantili di diverse dimensioni.
Alcune navi erano regolarmente iscritte nei registri di capitaneria altre volavano pericolosamente in bilico tra legalità e pirateria.
Lei lo sentiva. Le AI delle astronavi amavano raccontare delle loro avventure e a Black piaceva ascoltarle. Anche se avevano tutte un’intelligenza notevolmente inferiore alla sua, la cyborg le invidiava. Sognava anche lei di solcare i cieli e imbarcarsi in grandi avventure, ma c’era un problema, lei non sopportava gli umani perché li riteneva stupidi e loro odiavano lei.
- ...e ci frutterà un sacco di soldi.
Il super udito della cyborg venne catturato da un conversazione molto animata che si stava svolgendo a diversi metri da lei.
Un uomo dall’aria furba e piuttosto affascinante per i canoni umani gesticolava animatamente con la sua interlocutrice. Aveva possenti muscoli mal celati da una sottile camicia di cotone e attorno alla vita portava una pistola laser e una lama di media lunghezza. Lei era una donna di media altezza piuttosto carina dallo sguardo acceso e intelligente. Sorrideva imbarazzata al bellimbusto davanti a lei e pendeva dalle sue labbra.
- E io cosa dovrei fare?- stava chiedendo.
- Mi presti la tua astronave e al mio ritorno ti darò metà del bottino.
- E perché dovrei fidarmi?
- Andiamo Layra mi conosci. Non ti ricordi quello che ci siamo detti sotto le lenzuola ieri notte?- domandò lui sfoggiando un sorriso sornione.
Layra arrossì e stava per cedere quando sentì una voce provenire dalle sue spalle.
- Io e lei veniamo con te o non se ne fa niente - disse Black.
- Cosa?- chiese lui colto alla sprovvista - e tu chi saresti?
- Io sono Black il capitano in seconda di Layra - la ragazza la guardò a bocca spalancata, ma non disse niente.
- Strano non mi ha mai parlato di te - disse lui sospettoso.
- E perché avrebbe dovuto?- ribatté la cyborg decisa - allora ci stai? O prendi il pacchetto completo o puoi dire addio al tuo mezzo di trasporto.
L’uomo la osservò per qualche istante, studiando la situazione, poi cedette.
- Va bene, ci vediamo domani all’alba all’astronave, ma non fate scherzi - e dicendo questo si allontanò visibilmente arrabbiato.
- Adesso puoi dirmi chi sei? - chiese Layra osservando con interesse la cyborg.
- Sono quella che ti aiuterà a rimanere fuori dai guai.
- Ma io non ti conosco.
- Credimi è meglio così.
- E perché dovrei portarti con me?
- Sei noiosa e stiamo pendendo tempo. Abbiamo una partenza da organizzare - disse avviandosi verso il mercato.
Layla attese per qualche istante poi la seguì senza fiatare.
- Allora il primo consiglio te lo do gratis. Smettila di fidarti di tutti o rimarrai da sola e senza un soldo.
- Questo naturalmente non vale per te.
- È ovvio.
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L'intoppo
di Irene Grazzini
Nina e Mima erano a lavoro come sempre quando successe l’intoppo.
Così almeno lo aveva chiamato nonno Navarro. Nina e Mima non avrebbero trovato una definizione calzante. Forse non avrebbero trovato una definizione e basta, visto che non erano mai andate all’Accademia Spaziale a studiare - era roba per ricchi, quella! - e sapevano scrivere a malapena il loro nome, impugnando la penna come se si trattasse di un cacciavite sonico. Niente di cui stupirsi, dato che da quando erano state in grado di camminare nonno Navarro le aveva portate con sé alla bottega o ad aggiustare i motori delle astronavi. Così le due gemelle erano cresciute tra brugole, serbatoi unti e reattori al plasma. Cresciute era il termine adatto, perché erano entrambe alte e robuste come portelloni a due ante, con le lunghe trecce color paglia da taglialegna della luna boschiva di Dendrin. Loro li spaventavano, gli uomini, e nonostante gli sforzi del nonno ancora non avevano trovato un aspirante marito che se le sorbisse. Meglio se ricco, diceva Navarro. Ma fino a quel momento, dovevano tutti e tre lavorare solo per guadagnarsi il pane.
Così quella mattina, sotto la supervisione della Capa - Soledade o qualcosa del genere, ma era difficile ricordare nomi così complessi - Nina e Mima stavano salendo sulla vecchia astronave da smontare, quando videro che c’era qualcosa di strano.
Per l’esattezza, lo sentirono.
– Layra, e adesso cosa accidenti pensi di fare? – stava dicendo una voce femminile e beffarda – Ci hai cacciate nei guai come al solito!
– La stai facendo più grave di quello che è – protestò un’altra voce di donna.
– Dici? Dovevamo solo rubare un’astronave per togliere il disturbo alla chetichella, e adesso invece rischiamo di trovarci addosso l’intero esercito del nobile Caesar!
Un sospiro.
– Rilassa i circuiti, Black, per ora ce ne stiamo nascoste qui... e poi inventeremo qualcosa, come sempre!
Le voci in questione, molto concitate, provenivano da sotto i loro piedi. Nina e Mima si scambiarono un’occhiata perplessa e impiegarono un bel po’ a capire che non si trattava dell’intelligenza artificiale dell’astronave, con un improvviso disturbo di personalità, ma che c’era qualcuno nascosto nella stiva. Una volta raggiunta questa conclusione, si armarono di cacciavite e sparachiodi e, dopo un cenno di intesa, spalancarono il boccaporto.
Quello che si trovarono di fronte, però, le lasciò senza fiato.
Davanti a loro stavano due ragazze in uniforme. Pur non avendo mai messo piede all’Accademia, Nina e Mima non ebbero difficoltà a riconoscere la divisa della Capitaneria dello Spazio. Una di loro aveva i capelli trasformati in una cresta rossa fiammante e numerosi orecchini a forma di croce. E la cosa ancora più strana era che con loro, addormentato in un angolo della stiva, c’era un dio. Beh, cos’altro poteva essere quella creatura con il fisico scolpito e la pelle di alabastro?
Le due intruse trasalirono accorgendosi di non essere più sole. Quella più alta, con il berretto da capitano, per un attimo ebbe un’espressione quasi colpevole, poi vedendo che si trattava soltanto di due ragazzotte dall’aria spaesata si raddrizzò.
– Buongiorno – esclamò con tono autorevole – Sono il capitano Layra Sentinel e mi trovo costretta a sequestrare questa astronave!
– Sì, e io sono il principe d’Egitto – borbottò la sua compagna, ma a voce troppo bassa perché le gemelle potessero sentirla, sempre che sapessero cos’era l’Egitto.
Nina e Mima, tutte emozionate perché era la prima volta che vedevano un capitano da vicino, non capirono bene quello che successe in seguito. Erano arrivati prima la Capa Soledade e poi nonno Navarro, che si erano messi a confabulare con le due intruse, indicando di tanto in tanto il dio addormentato. Un sacco di chiacchiere noiose, poi il nonno, sfregandosi le mani con aria stranamente soddisfatta, aveva annunciato che c’era stato un intoppo e che non c’era più bisogno di smontare la vecchia astronave.
Anzi, sarebbero decollati a breve.
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Layra, richiesta di aiuto
di Aurora Torchia
- Di tutte le stupide idee che hai avuto nella tua vita - sentenziò la cyborg - questa è di gran lunga la più stupida.
Layra la ignorò: una tattica in parte voluta e in parte imposta dalle tante, troppe, orecchie indiscrete.
Peccato solo che la paura di essere ascoltata non avesse mai impedito alla sua compagna di dire sempre quello che le passava per la testa.
- Giuro che se rivedo quel tizio lo getto nel vuoto siderale - riprese infatti Black, incurante del suo silenzio.
Layra affrettò il passo, le mani strettamente attaccate al berretto della sua uniforme: era terrorizzata all'idea che le volasse via, rivelando i ben poco professionali capelli multicolore.
L'ascensore era a ormai pochi passi da loro. Solo un altro piccolo sforzo e...
- Ma mi stai ascoltando?!
La ragazza balzò dentro la capsula di plastica ultra resistente, trascinandosi dietro la cyborg con uno strattone.
- Si, si, ti sento, Black! - Esplose, non appena la porta si fu chiusa dietro di loro. - Sarebbe impossibile non sentirti!
- Non gesticolare - la avvertì con voce pacata - ci sono due operai della manutenzione che ci stanno salutando.
Layra si girò su sé stessa come una trottola, il suo migliore sorriso di circostanza già stampato sulle labbra.
Lei e Black rimasero in silenzio per qualche istante, le mani alzate a salutare gli operai attraverso le pareti trasparenti del lento ascensore: sembravano i manichini automatici che accoglievano la gente all'entrata dei negozi.
- È una pessima idea ti dico - ribadì Black non appena furono scese di un piano. - e siamo ancora in tempo per andarcene - aggiunse.
- Ci serve una nave per andarcene - le ricordò l'altra, per la centesima volta.
Black sbuffò.
- Avremmo la nostra di nave, se quel bastardo non ci avesse rubato tutto, piantandoci in asso in questa città.
-Era sommerso di debiti - cercò debolmente di giustificarlo Layra - ci renderà la nave appena potrà.
- Naturalmente. Come ha fatto il tuo ex con il diamante del Nilo, giusto? Sto ancora aspettando di vedere il nostro 70%. Sto ancora aspettando di vedere una qualunque percentuale, in effetti.
Layra divenne paonazza.
- John non è come il mio ex! E poi - aggiunse, guardando la cyborg speranzosa, - ci ha lasciato queste divise per infiltrarci, no?
Si sistemò la giacca, lo sguardo trasognato.
- Non è poi un cattivo diavolo, quel John!
Black scosse la testa e le lanciò un'occhiata carica di significato.
- Ce le ha lasciate perché non gli entravano.
A questo la donna non sapeva proprio cosa rispondere, quindi scelse un – almeno sperava – dignitoso silenzio. John non sarebbe mai tornato con la loro nave: questo lo sapeva anche lei. Tuttavia, si rifiutava di ammettere che, per l'ennesima volta, Black aveva avuto ragione su una sua fiamma.
- Ci siamo - si limitò ad annunciare, gli occhi ora fissi sulle porte di plastica che si stavano aprendo senza il minimo rumore.
Fino a ora il tesserino identificativo trovato sulle divise aveva funzionato, e le due erano riuscite facilmente a ottenere di poter scendere fino al deposito navicelle dell'enorme villa: si erano inventate un controllo di routine e tutto era filato liscio. Ora si trovavano nel quartiere abitativo, nel mezzo del palazzo: sarebbe stato sufficiente raggiungere l'ascensore dall'altra parte del lungo corridoio bianco per scendere e prendere una nave, giusto il tempo di un giro di controllo, naturalmente! Per quando si fossero finalmente accorti che lei e Black non erano chi dicevano di essere, sarebbero state ormai irrintracciabili.
Tutto, per una volta, stava andando per il verso giusto.
Layra si mise quasi a fischiettare mentre percorreva l'ultimo tratto di strada verso la libertà: non ricordava, infatti, l'ultima volta che un lavoro fosse finito senza intoppi.
Poi una porta davanti a loro si aprì, seguita da un tonfo sordo.
Black saltò di lato, mentre la compagna posava con disinvoltura la mano sulla fondina per la pistola di ordinanza: non che ne possedesse una, ma chiunque stesse per uscire da quella stanza non poteva saperlo.
Passarono alcuni secondi senza che accadesse nulla.
Le due ladre fecero quindi qualche passo guardingo in avanti, per poi sbirciare oltre la porta spalancata.
L'uomo più bello che entrambe avessero mai visto giaceva a terra, piegato su sé stesso come una marionetta gettata in un angolo. I fili di questo pupazzo erano però fatti di metallo trasparente, e trasportavano chissà quale liquido da un enorme macchinario appeso al soffitto fin dentro le vene dell'uomo. Lo sconosciuto era per di più incatenato mani e piedi, anche se pareva talmente debole da non riuscire nemmeno ad alzare la testa. In un primo momento pensarono di essere capitate in qualche laboratorio, ma l'arredamento sontuoso della stanza pareva invece suggerire che si trovassero nella stanza privata di un membro della nobiltà.
Lo sconosciuto sollevò lo sguardo sulle due intruse, per poi fissare dritto negli occhi Layra.
- Mi chiamo Antonius – mormorò - ti prego. Portami... via di qui.
Allungò debolmente una mano verso di lei, facendo cigolare le catene con un suono cupo.
- Ti prego.
Black scosse la testa, rassegnata.
Erano fregate. Un'altra volta.
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