Campeggio
Di Teresa Regna
Credevo che il campeggio mi piacesse: l’avevo già fatto altre volte, sia con i familiari che con gli amici. Era sempre stata un’esperienza positiva. Fino a quella volta.
Ma andiamo con ordine. Ero andato da solo, ma mi ero accampato in una radura che conteneva già tre tende. La mia canadese monoposto spiccava rispetto alle tende molto più grandi: c’era una famiglia di quattro persone, tre amici venuti per pescare sul lago e tre cacciatori, piuttosto giovani, alla loro prima esperienza in mezzo alla natura.
Per un paio di giorni non successe niente di particolare, poi ci fu il primo incidente. Durante la notte, oltre ai consueti versi degli animali notturni, sentimmo un gran trambusto: tonfi, rumori di oggetti trascinati, e ululati da far agghiacciare il sangue.
Uno dei cacciatori, Sam, imbracciò il fucile già carico, e uscì nella notte incontro al pericolo. Il predatore se n’era già andato, accontentandosi di aver in parte razziato e in parte distrutto le provviste che avevamo messo in comune, conservandole in una piccolissima tenda tutta rattoppata.
– Doveva essere un coyote – commentò Matt, il padre di famiglia, che si era guardato bene dal tentare di difendere la moglie e i figli, il giorno dopo.
Annuii. Non avevo voglia di discutere; inoltre, il fatto che non avessi quasi più provviste mi costringeva ad andare al lago a pescare. O a tornare in città, cosa di cui non avevo voglia. Avevo deciso di rimanere in montagna una settimana, e soltanto la morte per inedia mi avrebbe distolto dal mio proposito.
Due notti più tardi, dovetti ricredermi: accadde il secondo incidente, quello che mi fece decidere di tornare in città prima del previsto.
Non mi fidavo più di conservare le provviste insieme a quelle degli altri campeggiatori, per cui tenevo i biscotti che mi erano rimasti e i pesci che avevo preso al lago nella tenda, in un vecchio zaino con le cinghie mezze consumate e pieno di macchie di unto.
Nel cuore della notte, un rumore di passi mi svegliò. Sulle prime, pensai che fosse entrato un altro dei campeggiatori, ma poi mi diedi dell’imbecille: mi avrebbe chiamato, o quanto meno messo una mano sulla spalla per svegliarmi.
Istintivamente, guardai lo zaino con le provviste. Era ancora al suo posto, accanto al sacco a pelo, a destra, ma sopra c’erano, sospese, un paio di luci di un giallo acceso. Quando capii che si trattava degli occhi del predatore, urlai come un ossesso, aprii la cerniera del sacco a pelo e tentai di catapultarmi fuori dalla tenda.
Non fui abbastanza veloce, però: la bestia mi azzannò ad un braccio, lasciandomi l’impronta dei suoi denti aguzzi. Denti di lupo.
Per fortuna, le mie urla avevano svegliato tutti. I cacciatori e i pescatori accorsero in mio aiuto, e il lupo pensò bene di fuggire, squarciando la tenda dalla parte posteriore, con uno dei miei pesci tra le fauci.
Sam mi medicò la ferita, che non era profonda, ma sanguinava molto, e la bendò con cura. – Non è grave – sentenziò. – Puoi anche rimanere qui.
Scossi la testa: avevo deciso che non avrei più fatto un campeggio in vita mia.
Dopo quell’incidente, mi sentii strano per giorni e giorni, e quando venne la prima notte di luna piena…
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