La ninfa e il nano

di Simone Scala

Foresta pietrificata, poche leghe a sud delle Grandi Mura di Granito, Territori Occidentali, estate

E dire che Sen era giunto qui solo per rilassarsi, per camminare un po’ in santa pace e non pensare agli affari. Perché questo posto desolato gli piaceva. Gli era sempre piaciuto fin da piccolo, quando ci veniva con il nonno a cercare gli scorpioni. Vicino alla cittadella dei nani ma così diverso, così immobile e spettrale soprattutto di notte. Adesso invece era pomeriggio inoltrato e faceva caldo. Molto caldo. Adesso invece, dopo che l’aveva vista muoversi scalza fra gli arbusti di pietra bruciati dal sole, la sua mente era stata subito inghiottita dall’aspetto economico della vicenda. Una ninfa. Una ninfa di terra come non se ne vedevano da anni, almeno nei dintorni delle Grandi Mura. Giovane. Bella. Lunghi capelli lisci, viola come gli occhi, due eleganti ali da farfalla gialle che spuntavano da una veste bianca. Lei non lo aveva scorto e questo era un gran vantaggio, pensava il nano mentre la cercava come un segugio. Una fortuna. Quella creatura se venduta come schiava al mercato delle Grandi Mura poteva valere un mucchio di monete d’oro. C’erano infatti molti uomini ricchi che avrebbero di sicuro allargato la borsa per godere di una simile bellezza. Certo lui da solo non l’avrebbe mai catturata ma del resto non era quello il suo scopo in quel momento. Il nano, infatti, voleva solo individuare il suo nascondiglio. Poi avrebbe assoldato quattro o cinque mercenari e sarebbe ritornato a prenderla. Con le buone o con le cattive. Magari veniva fuori che non era sola, magari c’era un intero villaggio di ninfe che lo aspettava. E allora sì che i guadagni sarebbero schizzati alle stelle. Sen si fermò di colpo, toccandosi la barba grigia. In effetti era possibile, si augurò compiaciuto. Anche perché quella ninfa era troppo giovane per vivere da sola in un posto come quello. Però c’era un piccolo problema, rifletté il nano prendendo la bisaccia e bevendo qualche sorso di vino. Un problema piccolo piccolo, sorrise ironico: lei era sparita. Volata via. Ormai era da tanto che girava e non l’aveva più rivista, si rimproverò riprendendo il cammino. Per giunta il giorno declinava e sarebbe stato meglio rientrare alla cittadella. Aveva lasciato il pony nella stalla e ora se ne pentiva. Sciocchezza colossale e al diavolo la sua mania di camminare. Basta. Avrebbe percorso un’altra lega poi sarebbe ritornato indietro. Le gambe iniziavano a dolergli, era sudato fradicio e a casa lo aspettavano per cena. Tanto non avrebbe rinunciato, non era da lui. Nella peggiore delle ipotesi sarebbe tornato. Ma adesso uno sforzo, s’impose il nano, un ultimo sforzo là dove la foresta s’infittiva, dove i rami pietrificati non permettevano quasi di avanzare. Dove non c’erano più sterrate o sentieri, dove quasi nessuno si avventurava perché poteva essere rischioso. Così s’inerpicò su una salita che gli permetteva una visuale migliore stando bene attento a dove metteva i piedi. A un tratto, però, dovette fermarsi perché fu investito da una nube di fumo che gli tolse quasi il respiro. Qualcosa bruciava e produceva un odore acre. Fece per tornare indietro ma ci ripensò. Si voltò di scatto e salì sopra un albero. Una faticaccia della miseria ma alla fine arrivò in cima.

Fumo in un luogo come quello. Strano, pensò Sen, cosa significava?
Tenendosi ben stretto al tronco di pietra anche a causa del vento, il nano aguzzò la vista e rimase sorpreso. Un villaggio. Poco distante. In fiamme. E corpi in terra. Probabilmente morti. Uccisi. Corpi femminili ma il fumo non permetteva di esserne certi. Ninfe. Un villaggio di ninfe così vicino ma lui non l’aveva mai visto prima. Idiota. Perché ogni volta che era stato qui non aveva mai preso quella salita? Dandosi dello stupido il nano scese dall’albero e si avviò verso il villaggio. Lo raggiunse alle prime luci della sera, vide le fiamme che divoravano le case di legno, le ninfe uccise e il loro sangue blu che dissetava l’erba. Riconobbe anche la fanciulla dalle ali gialle che giaceva vicino a una fonte.
Aveva gli occhi aperti e una delle ali strappate.
Sterminate. Massacrate: giovani, vecchie e bambine in questa specie di oasi naturale incastonata fra un mare di pietra. Alcune avevano ferite da taglio mentre altre erano state trafitte da dardi e frecce. Niente faceva pensare a stupri o torture e non c’era neppure traccia di un saccheggio. Perciò i briganti che pure ogni tanto si rifugiavano nella foresta non c’entravano, anche perché la precisione dei colpi degli archi e delle balestre era troppo elevata per le modeste capacità di quegli zotici scapestrati. Una precisione così poteva appartenere solo all’esercito degli uomini che non aveva però motivo di prendersela con le ninfe; oltretutto molte di loro erano giovani, notò Sen muovendosi in mezzo ai cadaveri,  potevano valere davvero un mucchio di soldi come schiave di piacere. No. Gli uomini erano innocenti. Ma allora chi? Chi era stato?
Il nano si bloccò d’istinto.
Sagome. Avanzavano fra il fumo nero. Silenziose. Non le aveva sentite. Stupido. Ancora stupido ma ormai era tardi. Avevano spade e asce sguainate. Pochi passi e lo avrebbero sventrato. La paura di morire arrivò improvvisa. Folle. Sciocco arrivare fin lì da solo. Ma cosa voleva fare? Era andato nella foresta per non pensare ai soldi e invece si ritrovava nella merda proprio a causa loro. E adesso sarebbe morto. Ucciso da uno dei guerrieri che gli erano davanti. Minacciosi. Ostili. Letali. Che già lo circondavano. Occhi rossi, canini grossi e sporgenti, terribili. Con il cuore in gola, Sen decise di seguire il suo intuito. Salutò in posa marziale gli orchi: braccia tese e pugni chiusi.

Foresta pietrificata, poche leghe a sud delle Grandi Mura di Granito, Territori Occidentali, estate


E dire che Sen era giunto qui solo per rilassarsi, per camminare un po’ in santa pace e non pensare agli affari. Perché questo posto desolato gli piaceva. Gli era sempre piaciuto fin da piccolo, quando ci veniva con il nonno a cercare gli scorpioni. Vicino alla cittadella dei nani ma così diverso, così immobile e spettrale soprattutto di notte. Adesso invece era pomeriggio inoltrato e faceva caldo. Molto caldo. Adesso invece, dopo che l’aveva vista muoversi scalza fra gli arbusti di pietra bruciati dal sole, la sua mente era stata subito inghiottita dall’aspetto economico della vicenda. Una ninfa. Una ninfa di terra come non se ne vedevano da anni, almeno nei dintorni delle Grandi Mura. Giovane. Bella. Lunghi capelli lisci, viola come gli occhi, due eleganti ali da farfalla gialle che spuntavano da una veste bianca. Lei non lo aveva scorto e questo era un gran vantaggio, pensava il nano mentre la cercava come un segugio. Una fortuna. Quella creatura se venduta come schiava al mercato delle Grandi Mura poteva valere un mucchio di monete d’oro. C’erano infatti molti uomini ricchi che avrebbero di sicuro allargato la borsa per godere di una simile bellezza. Certo lui da solo non l’avrebbe mai catturata ma del resto non era quello il suo scopo in quel momento. Il nano, infatti, voleva solo individuare il suo nascondiglio. Poi avrebbe assoldato quattro o cinque mercenari e sarebbe ritornato a prenderla. Con le buone o con le cattive. Magari veniva fuori che non era sola, magari c’era un intero villaggio di ninfe che lo aspettava. E allora sì che i guadagni sarebbero schizzati alle stelle. Sen si fermò di colpo, toccandosi la barba grigia. In effetti era possibile, si augurò compiaciuto. Anche perché quella ninfa era troppo giovane per vivere da sola in un posto come quello. Però c’era un piccolo problema, rifletté il nano prendendo la bisaccia e bevendo qualche sorso di vino. Un problema piccolo piccolo, sorrise ironico: lei era sparita. Volata via. Ormai era da tanto che girava e non l’aveva più rivista, si rimproverò riprendendo il cammino. Per giunta il giorno declinava e sarebbe stato meglio rientrare alla cittadella. Aveva lasciato il pony nella stalla e ora se ne pentiva. Sciocchezza colossale e al diavolo la sua mania di camminare. Basta. Avrebbe percorso un’altra lega poi sarebbe ritornato indietro. Le gambe iniziavano a dolergli, era sudato fradicio e a casa lo aspettavano per cena. Tanto non avrebbe rinunciato, non era da lui. Nella peggiore delle ipotesi sarebbe tornato. Ma adesso uno sforzo, s’impose il nano, un ultimo sforzo là dove la foresta s’infittiva, dove i rami pietrificati non permettevano quasi di avanzare. Dove non c’erano più sterrate o sentieri, dove quasi nessuno si avventurava perché poteva essere rischioso. Così s’inerpicò su una salita che gli permetteva una visuale migliore stando bene attento a dove metteva i piedi. A un tratto, però, dovette fermarsi perché fu investito da una nube di fumo che gli tolse quasi il respiro. Qualcosa bruciava e produceva un odore acre. Fece per tornare indietro ma ci ripensò. Si voltò di scatto e salì sopra un albero. Una faticaccia della miseria ma alla fine arrivò in cima.

Fumo in un luogo come quello. Strano, pensò Sen, cosa significava?
Tenendosi ben stretto al tronco di pietra anche a causa del vento, il nano aguzzò la vista e rimase sorpreso. Un villaggio. Poco distante. In fiamme. E corpi in terra. Probabilmente morti. Uccisi. Corpi femminili ma il fumo non permetteva di esserne certi. Ninfe. Un villaggio di ninfe così vicino ma lui non l’aveva mai visto prima. Idiota. Perché ogni volta che era stato qui non aveva mai preso quella salita? Dandosi dello stupido il nano scese dall’albero e si avviò verso il villaggio. Lo raggiunse alle prime luci della sera, vide le fiamme che divoravano le case di legno, le ninfe uccise e il loro sangue blu che dissetava l’erba. Riconobbe anche la fanciulla dalle ali gialle che giaceva vicino a una fonte.
Aveva gli occhi aperti e una delle ali strappate.
Sterminate. Massacrate: giovani, vecchie e bambine in questa specie di oasi naturale incastonata fra un mare di pietra. Alcune avevano ferite da taglio mentre altre erano state trafitte da dardi e frecce. Niente faceva pensare a stupri o torture e non c’era neppure traccia di un saccheggio. Perciò i briganti che pure ogni tanto si rifugiavano nella foresta non c’entravano, anche perché la precisione dei colpi degli archi e delle balestre era troppo elevata per le modeste capacità di quegli zotici scapestrati. Una precisione così poteva appartenere solo all’esercito degli uomini che non aveva però motivo di prendersela con le ninfe; oltretutto molte di loro erano giovani, notò Sen muovendosi in mezzo ai cadaveri,  potevano valere davvero un mucchio di soldi come schiave di piacere. No. Gli uomini erano innocenti. Ma allora chi? Chi era stato?
Il nano si bloccò d’istinto.
Sagome. Avanzavano fra il fumo nero. Silenziose. Non le aveva sentite. Stupido. Ancora stupido ma ormai era tardi. Avevano spade e asce sguainate. Pochi passi e lo avrebbero sventrato. La paura di morire arrivò improvvisa. Folle. Sciocco arrivare fin lì da solo. Ma cosa voleva fare? Era andato nella foresta per non pensare ai soldi e invece si ritrovava nella merda proprio a causa loro. E adesso sarebbe morto. Ucciso da uno dei guerrieri che gli erano davanti. Minacciosi. Ostili. Letali. Che già lo circondavano. Occhi rossi, canini grossi e sporgenti, terribili. Con il cuore in gola, Sen decise di seguire il suo intuito. Salutò in posa marziale gli orchi: braccia tese e pugni chiusi.
 «In nome del Re» gridò a voce alta.
Gli orchi si fermarono perplessi ma risposero al saluto.
«In nome del suo popolo.»
Poi quello che sembrava il capo fece un passo avanti e gli chiese: «Cosa stai facendo?»
«Ordine ricevuto nascondere i cadaveri, signore… mio signore» s’inventò lì per lì Sen in un orchesco abbastanza approssimativo, «spiazzo libero domani... prima di domani.»
L’orco lo sovrastava e Sen sentiva crescere il terrore dentro di sé. Un gigante con l’armatura che presto lo avrebbe divorato. Che puzzava di sudore e di birra. Orribile creatura con lui che non avrebbe retto a lungo. Nessuna possibilità di cavarsela. Era disarmato, era un mercante. Mentre quelli erano in sei, armati fino ai denti, soldati crudeli e spietati la cui fama era ben nota nei Territori Occidentali. Di sicuro erano loro i responsabili della carneficina, pensò Sen, raccomandando la sua anima agli Dei e restando sempre sull’attenti. I guerrieri intanto lo fissavano curiosi - armi alla mano - grugnendo e bofonchiando parole incomprensibili. Finché il capo non scoppiò a ridere, si abbassò verso di lui e gli diede una pacca sulle spalle che per poco non lo fece stramazzare a terra.
«Un soldatino nano che tende le braccia e che rimane sull’attenti… bene! Bravo! Continua così soldatino, farai carriera.»
«Posso proseguire, mio signore?» chiese il mercante, incredulo.
«Cero soldatino, certo» rispose il capo fra le risate sguaiate degli altri cinque.
Fece quindi un cenno e i guerrieri lo seguirono veloci. Sgusciarono di fianco a Sen che si sentì gelare il sangue. Poi quando furono lontani il nano si accasciò sull’erba e si mise a piangere. Lacrime di gioia per il pericolo scampato ma anche di dolore, perché la presenza di quei soldati nei Territori Occidentali poteva significare una cosa sola: la Terza Guerra fra uomini e orchi.
Lo aveva già capito.

http://www.wizardsandblackholes.it/?q=losterminio