L'Apprendista

di Teresa Regna

La discussione con la madre gli aveva lasciato l’amaro in bocca. Eppure era una Lappone, e fino a qualche anno prima viveva nelle lande innevate del nord, che aveva lasciato soltanto per sposare suo padre.

Rolfus sollevò le spalle, e scosse leggermente la testa: bisogna portare pazienza, con gli adulti. La consuetudine vuole che abbiano sempre ragione, anche quando non gradiscono che i figli seguano il sentiero adatto a loro.

Anche se aveva soltanto dodici anni, non riusciva ad essere noncurante, come tutti i suoi coetanei, nei confronti dei genitori. Ogni discussione lo scombussolava fin nel profondo. Il maestro diceva che era un bene, perché dimostrava la sensibilità che ogni sciamano dovrebbe possedere. Lui, però, non ne era proprio convinto.

Accantonò i pensieri molesti e raggiunse a passo di marcia la casa in legno chiaro, leggermente discosta dal villaggio. Con sua enorme sorpresa, vide che la porta d’ingresso era spalancata. Superò la soglia con un balzo e si introdusse nella casa.

– Buona giornata, maestro – salutò, compito, il ragazzino.

Non ricevette risposta. Tornò sui suoi passi, bussò con discrezione, e ripeté il saluto.

– Buongiorno anche a te – disse, questa volta, l’uomo basso e tarchiato che sedeva di fronte al focolare spento. – Noto con piacere che non hai dimenticato le regole della buona educazione – ridacchiò.

– La porta era aperta… - cominciò Rolfus, tentando di giustificarsi.

Venne interrotto dalla mano aperta del maestro. – Non importa: hai rimediato subito dopo. Invitò l’apprendista a sedere accanto a lui con un cenno, e annunciò – Oggi comincerai ad imparare il canto rituale più importante, indispensabile per la buona riuscita di ogni incantesimo maggiore. Si chiama jojk e somiglia all’ululato del vento quando attraversa la foresta.

Il ragazzo non riuscì a mettere da parte la sua innata curiosità. – Perché mai devo imitare il suono del vento? – chiese.

Lo sciamano scosse la testa per manifestare la propria disapprovazione. – Non dovresti essere tanto curioso – lo ammonì, in tono severo. Afferrò i tamburi, che erano accostati alla parete, e li posizionò uno davanti a sé e l’altro davanti all’apprendista. I suoi movimenti erano stati così rapidi e fluidi che Rolfus quasi non si era accorto che si fosse alzato. – Per questa volta farò un’eccezione – affermò, mentre il suo viso rugoso si distendeva in un’espressione benevola. – Il jojk è una delle armi più potenti di uno sciamano poiché lo aiuta a divenire un tutt’uno con la natura. Ricorda che tra qualche anno non soltanto dominerai gli elementi, ma sarai parte di essi. All’occorrenza, potrai trasformarti in un animale, un vegetale o un minerale, e viaggiare nel vento che non hai molta voglia di imitare. Terminata la spiegazione, cominciò a battere con le mani aperte sul tamburo consunto, che possedeva da anni e anni.

A capo chino, Rolfus batté a sua volta sul tamburo seminuovo che un giorno gli sarebbe appartenuto. Quando udì lo strano canto che usciva dalla bocca del maestro, si bloccò per un attimo, interdetto. Si riscosse quasi subito, e provò ad imitare quella serie di suoni discordanti con la sua voce ancora da bambino.

Lo sciamano smise di cantare e suonare. – Così non va – lo avvertì. – Devi tenere le labbra vicine ma non serrate, e prendere il fiato dal profondo del petto. Riprova – lo esortò.

Il ragazzino obbedì, ma dalle sue labbra uscì soltanto un suono strozzato da animale ferito.
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