Questione di sopravvivenza

di Irene Grazzini

Se c’è una cosa che ho sempre odiato sono le stazioni. Ferroviarie, navali, spaziali, non cambia molto. Sono i posti in cui è più facile lavorare, ma anche dove è più facile essere beccati da qualche poliziotto umano zelante, se sei fortunato, oppure dalla guardia armata dei Grigi. E allora non sei fortunato, affatto, perché quei bastardi di alieni spelacchiati non hanno alcun rispetto per gli umani. Hanno colonizzato la Terra solo da qualche decennio e già si comportano come i padroni assoluti. Forse lo sono. E noi dobbiamo rimboccarci le maniche per sopravvivere.
Beh, modestamente, io me la cavo abbastanza bene.
Mi faccio largo sotto l’immenso edificio senza pareti, formato da pilastri di ferro e un tetto di lastre di vetro incrinate in più punti. Tutt’intorno ci sono i turbo-treni, in attesa di decollare sui binari verso le loro destinazioni. È molto più grande di Barcelona Sants, dove anni fa Francisco mi mandava ad alleggerire i viaggiatori. Mi piaceva farlo, soprattutto se si trattava di Grigi. Che male c’è a rubare con loro, dato che ci hanno rubato il pianeta?
Numeri e nomi scorrono veloci sul pannello luminoso a lato dei binari. Numero 6, leggo attraverso i miei occhiali scuri. Poi lo noto.
Soltanto un movimento. Nervoso. Sospetto.
Mi volto lentamente verso l’uomo che ha attirato il mio sguardo. Sì, sicuramente un umano: non troppo alto, una zazzera di ricci scuri e la pelle abbronzata dal sole. E l’aria di chi sta per combinare qualcosa.
Di solito non mi impiccio degli affari altrui, ma questo “qualcosa” potrebbe scombinare i miei piani. Capisco di aver visto giusto quando l’uomo si aggiusta la giacca di eco-pelle, una giacca troppo pesante per la temperatura estiva di questo posto, e si dirige a passo svelto verso il gruppo di Grigi che sta salendo sul mio stesso treno.
Esito un attimo. Primo: non ho alcuna simpatia per i Grigi. Secondo: non posso intervenire in prima persona, è troppo rischioso. Mi farebbero domande a cui non ho alcuna voglia di rispondere.
Ma devo prendere quel treno.
Con un sospiro, do di gomito alla compunta signora che mi sta passando accanto e, con aria preoccupata, indico l’uomo.
– Mio Dio, quello ha una bomba – dico.
Perplessità, stupore e terrore. È incredibile come le emozioni possano mutare così in fretta sulla faccia della gente. La signora, come previsto, non si cura neppure di guardarmi per bene. Si porta le mani alla bocca e grida a squarciagola: – Una bomba!
Basta questo a scatenare il panico. La folla ondeggia, le grida si moltiplicano. Sopra le teste, scorgo ancora l’uomo: si è accorto di essere stato scoperto. Il disappunto si trasforma in feroce determinazione mentre si getta verso i Grigi, le mani che scivolano sotto la giacca...
La Polizia Grigia compare quasi dal nulla. E mi ricorda perché non mi piacciono le stazioni.
L’onda d’urto dei fucili colpisce l’uomo alle spalle, facendolo crollare sul pavimento in eco-cemento. Cerca di risollevarsi, ma la gabbia elettrica lo tiene ancorato e scintille di luce frizzano dolorosamente intorno a lui. Sotto la giacca ormai aperta intravedo il luccichio metallico delle bombe che portava alla cintura. Poi i poliziotti gli sono addosso e non vedo più nulla.
Approfittando della confusione, sono già sul treno prima che la signora compunta si riprenda abbastanza da guardarsi intorno e cercare la bella donna mora che con il suo avvertimento ha evitato una strage.
Non l’ho fatto certo per salvare i Grigi.
Questione di sopravvivenza, appunto.
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