Ricordi sulla statale
di Luca Salmaso
Dopo che ho rintracciato Max e tentato invano di convincerlo ad aiutarci, ritorniamo verso la porta d’ingresso di quello strano mondo, comodamente seduti sulla sua meravigliosa Cadillac Eldorado rosa. Max è il mago che ha evocato Jacques, il demoniaco fautore delle notti anarchiche e inquietanti che si svolgono, ormai da tempo, nella nostra casa di cura. Quel luogo surreale, che lui definisce, non so perché, paradiso, consiste in una strada, costeggiata su entrambi i lati da una brulla e sconfinata prateria, illuminata solamente dalla luce della luna. Si accede a quella realtà sospesa tra la vita e il sogno dal ripostiglio del nostro istituto, mentre da questa parte il passaggio assume le sembianze di una vecchia e disastrata cabina telefonica.
Ma cosa c’è al termine della strada? – gli chiedo, a un certo punto.
Ah, bella domanda, - risponde lui, ridacchiando, - ma cosa ti fa credere che ci sia una fine?
Ecco… non so, effettivamente. Vuole dire che è infinita?
- No, - replica, tornando serio, - non ho detto questo, per quanto sia una possibilità da prendere in considerazione.
Ma quanto lontano è arrivato? – insisto, preso da improvvisa curiosità.
Max alza lo sguardo, per un attimo, verso il pallido disco lunare. L’espressione trasognata dei suoi occhi mi fa pensare che sta ricordando qualcosa.
Ho fatto molti chilometri con questa carretta, - dice, - davvero molti. Ho visto cose che voi umani…
Già, - lo interrompo, alzando la mano, - questa l’ho già sentita. Racconti.
Beh, una volta ad esempio, ho incontrato Marilyn.
Vuole dire… quella Marilyn?
- Perché ce ne sono altre? Viaggiava su una macchina bianca, scappottata, simile a questa, a fianco di un bellimbusto che sembrava il gemello di Tony Curtis. Insomma ci incrociamo e io li guardo, mentre loro guardano me. Dopo un secondo, sento il clacson e i freni che stridono. Mi volto e inchiodo pure io. Osservo la scena nello specchietto. Lei scende, fasciata in un vestito mozzafiato, corre sui tacchi verso di me, si appoggia con una mano sulla portiera mentre con l’altra tiene una lunga sigaretta tra l’indice e il medio e mi fa: “hai del fuoco, Max? Siamo rimasti senza fiammiferi.” Rimango di stucco come un imbranato e non rispondo. D’improvviso dischiude le labbra in un sorriso… un sorriso che non dimenticherò mai. “Allora?” esclama. Io, dapprima, non so che pesci pigliare, poi penso che sono un mago, cavolo, e mi ricordo un vecchissimo film che guardavo da bambino, così metto il pollice dentro il pugno chiuso e poi… zac, di colpo lo estraggo. Sulla punta arde una viva fiammella che le porgo, sfoderando un ghigno da bullo di periferia. Vedo che è sorpresa. Avvicina la cicca, la accende, sta un attimo in silenzio, quindi mi dice: “grazie caro”, poi si gira e torna con calma verso la sua auto, ancheggiando sinuosa. Mentre si allontana dò ancora un’occhiata al retrovisore, appena in tempo per scorgere due piccoli fori scuri sulla bianca curva del collo.
- Era proprio lei?
- Chi lo sa, ragazzo. Per me era lei. O una che le assomiglia dannatamente. Ma che importa, forse non la rivedrò mai più. Comunque da allora tengo sempre una scorta delle migliori sigarette nel portaoggetti, non si sa mai.
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