Questa e' l'ultima volta

di Irene Grazzini

“Questa è l’ultima volta!” mi dico mentre fermo il furgone nel bel mezzo dell’incrocio e tiro il freno a mano. Questo ferrovecchio è un cimelio della vecchia epoca, va ancora a gas invece che a energia solare, e ha delle ruote sgangherate invece dei soliti ugelli jet che fanno sfrecciare le auto a quindici centimetri dal suolo. Mi chiedo dove l’abbia trovato Francisco, poi scrollo le spalle: in ogni caso non durerà a lungo ed è perfetto per il suo scopo.
E io ho pescato la pagliuzza più corta quando sono stati decisi i ruoli.
Pagliuzza o non pagliuzza, questa parte pericolosa e poco esaltante sarebbe toccata comunque a me. Sono l’unica ragazza della banda e non ho molta voce in capitolo. Poco importa se sono abile in quello che faccio, Francisco è il capo e non si discutono i suoi ordini.
“Ma questa sarà l’ultima volta” mi ripeto, ostinatamente, come faccio ormai da giorni e settimane.
Controllo l’ora, appurando che come sempre sono puntuale, poi mi azzardo a sbirciare fuori dal finestrino del passeggero. La via del Raval sembra tranquilla, con i suoi ampi marciapiedi e qualche palma che resiste chissà come alle scorie delle navi aliene. Loro non si preoccupano di inquinare il nostro mondo: quando sarà tutto distrutto, peggio di come è adesso, prenderanno le loro belle astronavi e toglieranno il disturbo per andare a guerreggiare da qualche altra parte. Noi umani faremo lo stesso. Forse. Se sopravviveremo.
Francisco e gli altri sono appostati sopra i tetti e scrutano la via sottostante in attesa. Nel cielo acceso di giallo polveroso scorgo il luccichio delle loro armi: spara-chiodi, balestre ad aria compressa, vecchie revolver, qualche pistola a onde d’urto. Non sarà la dotazione dell’euro-esercito, ma non è male. Francisco controlla anche il contrabbando delle armi e della droga, oltre che buona parte degli affari del Raval.
Mi chiedo perché il porta-valori abbia deciso di passare proprio di qui.
Il mio orologio mentale continua a ticchettare. Una manciata di secondi e dovrebbe arrivare, a meno che non sospettino qualcosa e abbiano cambiato strada...
Poi lo vedo. Un siluro di spesso metallo che scivola lungo la strada dissestata senza neppure sollevare la polvere. Si muove veloce nella mia direzione e per un attimo penso che ignorerà il mio ferrovecchio e mi travolgerà.
Invece si ferma.
Nell’aria immobile, lo scricchiolio di palo di ferro, piegato in due, da cui spunta ancora il cartello con il nome della via: Rambla del Raval.
Poi si scatena l’inferno.
Francisco e gli altri aprono il fuoco. Vedo i proiettili crivellare il porta-valori che deve contenere abbastanza crediti per comprare tutta Barcelona, perché adesso sono i dannati Grigi o i loro alleati a detenere la ricchezza sul pianeta. Vedo una possibilità che l’attacco così ben pianificato funzioni.
Ma poi vedo la raffica di plasma che si avventa sull’edificio dove si trovano i miei compagni.
Mi copro il volto con una mano, ma avverto comunque il calore della vampata che mi ustiona la pelle e mi ruba l’aria dai polmoni. Tossendo, scivolo fuori dallo sportello, dalla parte opposta del campo di battaglia, e mi getto a terra. Sotto le ruote del mio furgone, vedo che la via trasformarsi in un inferno e, oltre i fumi, le sagome che scendono da un secondo blindato impugnando fucili al plasma.
Adesso capisco perché il porta-valori è passato di qui.
È una trappola.
La polizia dei Grigi continua a sparare senza pietà. Il boato delle loro armi si mischia al fragore dei tetti che crollano. Mi chiedo se gli altri ce l’hanno fatta, ma nei miei sedici anni di vita ho imparato qualcosa dei Grigi: sono bravi a ripulire ciò che li infastidisce.
Sono di nuovo al posto di guida senza rendermene conto, il piede premuto sull’acceleratore. Il ferrovecchio tossicchia, poi fa un balzo in avanti. La scena infernale scivola alla mia sinistra e viene sostituita dalle vecchie case del quartiere che scorrono veloci, sempre più veloci, mentre premo il pedale a tavoletta e stringo lo sterzo fino a farmi male.
Solo molto più tardi, quando ho già lasciato il vecchio furgone troppo riconoscibile e sono lontana dalla polizia dei Grigi quanto da Francisco e la sua banda, sempre che esista ancora, le mie labbra si curvano in un sorriso.
È stata l’ultima volta.
Sono libera.
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