come la luna e il sole

Figlia delle ombre

di Laura Silvestri

Karga sorrideva appena, mentre le dita muovevano con agilità i fili nel telaio, e cantava fra sé e sé, con un filo di voce, una vecchia ninna nanna. Aveva bisogno di fare pratica, del resto: il ventre teso e gonfio, che le rendeva difficile piegarsi troppo a valutare la bontà dell’ordito, le diceva che non mancava molto alla nascita di sua figlia. Sarebbe stata una bambina, questo già lo sapeva, come pure sapeva molte altre cose della piccola che presto avrebbe stretto fra le braccia: che non sarebbe stata del tutto umana, e che, crescendo, avrebbe scoperto di possedere talenti come le altre donne avrebbero potuto soltanto invidiarle. Le era costata cara, quella figlia. Per averla, aveva sacrificato più di quanto donna avesse mai fatto pur di avere un bambino da stringere al seno, ma Karga non era pentita. L’ordine di sacerdotesse delle quale faceva parte stava ormai declinando. I loro numeri erano sempre più esigui, e le giovani fanciulle che desideravano far parte della Sorellanza di Torosian ogni anno più rare. L’Ordine aveva bisogno di nuove forze, per portare avanti la propria crociata… e Karga non si era tirata indietro. Era passata poco più di una luna da quando aveva chiamato a sé l’essere il cui nome faticava ancora a pronunciare. L’aveva evocato con fumi sacri d’incenso e simboli arcani, aveva cantilenato all’inverso la litania che le sue Consorelle usavano per esorcizzare e scacciare creature di quella fatta, e gli aveva comandato di ascoltarla. L’entità non si era mostrata, se non come un’ombra vaga, più densa e più nera di tutte le altre che le alte candele rosse avevano dipinto nella stanza dell’incantamento, e Karga sapeva che era stato meglio così: donne più forti di lei avevano perso la ragione per aver guardato  negli occhi un simile orrore.
Quando, parlando alla sua mente, la creatura le aveva domandato perché l’avesse convocata, facendole correre un brivido animale lungo la schiena, Karga aveva risposto senza esitare. – Voglio una figlia.
– Puoi averla da qualsiasi uomo tu incontri per strada. – l’essere aveva sussurrato ancora, il suo scherno duro e agghiacciante come il suono di uno specchio infranto. Ma lei non aveva desistito.
– No. Non posso. – aveva ribattuto. – Non come la desidero io. Voglio una figlia che possa succedermi, e il cui sangue possa renderla incline alla Via Arcana. E che sia forte, e capace di portare avanti l’Ordine.
Per un istante, le ombre nere e liquide che Karga si sforzava di guardare con la sola coda dell’occhio avevano tremato. – Ti rendi conto che mi stai chiedendo di darti qualcosa che col tempo sarà nemica della mia genia? Hai idea di quanto potrà costarti l’esaudirsi di una simile richiesta? – la voce aveva sibilato ancora, sottile e velenosa come quella di un serpente.
– Sono pronta a pagarlo. – la sacerdotessa aveva risposto, col cuore che le batteva come impazzito nel petto. – Non mi importa cosa sarà di me, o della mia anima, dopo la nascita di mia figlia. Ma lei dovrà essere perfetta,  la più magnifica creatura che abbia mai indossato le insegne di Torosian. 
– Sai anche che concepirla non sarà piacevole, per te, non è vero?
Dire che non fosse stato piacevole, sarebbe stato il più lusinghiero degli eufemismi. Ma Karga aveva sopportato ogni cosa: l’orrore, il dolore, la paura. E adesso, una luna dopo, il suo ventre era pieno di quella vita che tanto a lungo aveva desiderato. Le Consorelle non avrebbero mai dovuto sapere, naturalmente. Se avessero anche soltanto immaginato in che modo lei avesse ottenuto una tale bambina, facendo un patto di sangue con uno degli esseri che l’Ordine combatteva e scacciava da secoli, non ci sarebbe stata alcuna possibilità per lei o per sua figlia di rimanere fra le schiere delle Sacerdotesse, e a quel punto ogni cosa sarebbe stata vana. Ma l’accordo con la creatura prevedeva che sua figlia apparisse in tutto e per tutto una bambina umana, impossibile da identificare nella propria diversità anche alla più esperta delle matrone. Karga era stata lontana dal tempio per già due lune, e vi sarebbe rimasta ancora a lungo, fintanto che non le fosse stato possibile giustificare il ritorno con la sua bambina secondo tempi che suonassero concordi ai ritmi della natura. Intanto, la piccola continuava a scalciare, mentre sua madre tesseva per lei la prima coperta che l’avrebbe avvolta. Se l’istinto era nel giusto, come quasi sempre accadeva nelle donne nella sua condizione, non le restava che una settimana, o forse due, prima di poterla cullare contro il seno. Doveva darsi da fare. Sulla fine lana bianca, i simboli neri del sole e della luna già spiccavano. Al di sotto di essi, Karga avrebbe ricamato rune protettive che vegliassero sulla bambina fino a che non avesse raggiunto l’età adulta. Di sicuro, se qualcuna delle altre Sacerdotesse avesse potuto sapere, non avrebbe compreso. Ma non aveva importanza: lei non aveva dubbi circa il fatto che sin dall’inizio del mondo le donne custodissero segreti per un bene più grande, e lei era soltanto una madre che cercava di assicurare un futuro alla propria figlia. Quell’ennesima bambina dal padre ignoto, tuttavia, avrebbe potuto significare molto: che il Circolo di Torosian approvasse o meno, la piccola che portava in grembo avrebbe potuto fare la differenza nella guerra per la salvezza del loro mondo.

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